Cluster di imprese per uscire dalla crisi
Nell’ambito dell’inchiesta avviata da B&G sul tema delle reti e dei distretti, Michele Coletti, consulente di Unioncamere Lombardia ci ha parlato dei cluster di imprese come un’opportunità per le aziende di affrontare questo difficile momento economico
Speciale Reti e Distretti – Parte terza
La crisi finanziaria fa sentire i suoi effetti sull’economia reale e le imprese affrontano la situazione pensando alle risorse che mancano proprio quando per resistere bisogna proporre nuovi prodotti, esplorare altri mercati e adottare processi migliori. Oggi più che mai è necessario accedere a conoscenze specializzate, condividere investimenti per ridurre i rischi e cercare sinergie commerciali e produttive per limitare i costi. Una soluzione a queste esigenze viene dai business cluster. La parola “cluster” che in inglese vuol dire grappolo, secondo Michael Porter, celebre professore ad Harvard, identifica le concentrazioni geografiche di aziende e istituzioni che operano in certi settori in maniera interdipendente. Non a caso egli cita l’esempio di Sassuolo, il comune emiliano che ha dominato a lungo la produzione mondiale di ceramica. Gli italiani conoscono bene questo modello industriale e lo chiamano “distretto”. Porter sottolinea che nonostante i mercati siano più aperti di un tempo e le comunicazioni più facili e veloci, il luogo dove si opera conta ancora molto.
È interessante a questo proposito citare lo stilista Ottavio Missoni che, in una recente intervista, ha dichiarato come la sua mossa migliore nel campo degli affari sia stata portare molti anni fa la sua impresa a Varese, dove c’erano le competenze per farla decollare. Le tipologie distrettuali sono molte. In Italia ad esempio vanno dal distretto della liuteria di Cremona a quello agro-alimentare di Parma, dalla seta a Como ai divani di Matera. Alcuni distretti vanno bene, magari grazie alle capacità di un certo numero di famiglie imprenditoriali, mentre altri rischiano di soccombere alla concorrenza internazionale. Alcuni stanno aprendosi all’innovazione e all’internazionalizzazione, e altri si focalizzano sulla tradizione o sul marchio d’origine, sperando di frenare così l’avanzata dei concorrenti. Questo modello economico non è rilevante solo per le industrie del mobile o della moda, ma si ritrova nei poli di alta tecnologia come ad esempio la Silicon Valley in California, il Cambridge Technology Park in Inghilterra e l’area delle micronanotecnologie di Grenoble in Francia. Settori avanzati come le biotecnologie, l’aerospaziale e le nanotecnologie sono fortemente dipendenti dagli sviluppi della scienza e della tecnologia.
Pertanto questi tipi di cluster nascono intorno ai grandi poli dell’università e della ricerca. Essi sono spesso il risultato di una concertazione o perlomeno di attività sinergiche tra le istituzioni pubbliche, quelle accademiche e il mondo delle imprese. I cluster tecnologici si caratterizzano per la vivacità non solo delle idee ma anche delle iniziative; infatti il loro sviluppo economico si fonda sulla nascita di numerose startup che perseguono business innovativi. Una gran parte non riesce a crescere come sperato, ma quelle che ce la fanno diventano le grandi imprese di domani. Il vantaggio dei cluster è che ognuno di essi costituisce un eco-sistema dove si trovano competenze e risorse quali personale, scuole e fornitori specializzati. Inoltre i rapporti di collaborazione sono facilitati dalla consuetudine e dalla fiducia reciproca che vengono dalla vicinanza geografica, i contatti personali e la condivisione di una cultura. Questo crea opportunità non solo per brillanti inventori, ma per tutti coloro che abbiano qualche prodotto o servizio da offrire alle organizzazioni presenti nel cluster.
È dimostrato che le aziende che operano nelle aree distrettuali crescono mediamente più delle altre, e che chi ci lavora guadagna di più. Non meraviglia che molte aziende si spostino verso i cluster più attivi. Ciò non limita la libertà di impresa, poiché nei distretti le aziende sono sottoposte a co-opetizione, cioè coesistono meccanismi competitivi e (stabilmente o episodicamente) collaborativi. Nonostante le molte decine di sistemi produttivi locali specializzati in questo o quel settore in Italia, un notevole numero di imprese si trova al di fuori di zone distrettuali riconosciute. Tuttavia, mentre i distretti industriali sono il risultato di un processo in gran parte spontaneo che si è sviluppato nel corso di secoli e decenni, i cluster possono essere aiutati a svilupparsi. Un po’ come le perle coltivate, i cluster hanno forse origini meno singolari dei distretti (che in questa analogia possono essere paragonati alle perle naturali), ma offrono alle regioni e ai territori l’opportunità di puntare su un modello di sviluppo locale che non si basa sulla perla trovata per un colpo di fortuna, ma sulla sistematica coltivazione dell’ostrica.
Le politiche dell’innovazione hanno sempre più un carattere regionale piuttosto che nazionale perché è soprattutto a livello locale che si possono creare le condizioni favorevoli alle imprese. Francia e Italia hanno recentemente avviato programmi a supporto dei cluster di imprese. Come emerso però nell’ultimo Forum Mondiale dei Cluster svoltosi a Sophia-Antipolis, nel Paese transalpino i “poles de competitivité” sono diventati in pochi anni uno strumento efficace per l’innovazione collaborativa e l’aggregazione delle imprese, mentre i distretti tecnologici italiani, tranne alcune lodevoli eccezioni, non hanno ancora mostrato la stessa vitalità. I soggetti pubblici e privati impegnati nello sviluppo economico devono avere un ruolo attivo nell’identificazione di cluster potenziali e nel supporto al loro rafforzamento. Le organizzazioni intermediarie che si occupano del coordinamento delle attività pubbliche, accademiche ed economiche in un certo territorio e in un certo settore sono dette “istituzioni per la collaborazione”.
Le Camere di Commercio e le loro Aziende Speciali spesso già operano in questa direzione. I cluster di imprese innovative rappresentano un’opportunità per tutti: per le amministrazioni locali, che possono guidare strategicamente lo sviluppo locale verso il rinnovamento delle produzioni tradizionali, per le università e i laboratori, che possono dare un’applicazione concreta all’impegno dei loro ricercatori e per le imprese che nei cluster trovano competenze, risorse e sinergie per innovare ed espandersi nei mercati nazionali e internazionali. In tempi di recessione diventa imperativo “fare sistema”. L’esperienza secolare dei distretti ci indica una via che oggi va percorsa con un approccio sistemico. Le aziende italiane, operando nei cluster, potranno affrontare l’economia globale sfruttando al meglio i vantaggi competitivi che dipendono da fattori locali come la conoscenza, le relazioni e la motivazione.
testo di Michele Coletti Consulente Unioncamere Lombardia
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