Tante società, pochi amministratori
Il tema delle partecipazioni azionarie in imprese concorrenti è evidente anche in Italia, dove il fenomeno riguarda quasi sette imprese su dieci tra le quotate. Ne parla Andrea Celauro in un articolo pubblicato sul quotidiano della Bocconi e riportato di seguito
Il 60,9% delle società bancarie e finanziarie quotate in Italia vede la partecipazione di concorrenti nel proprio azionariato, mentre nell’89,2% dei casi si rilevano interlockings, ovvero la presenza di membri di altre società concorrenti nei propri organi di governo. In termini di attivo, i casi di interlocking riguardano ben il 97,3% delle società del settore. Sono alcuni dei dati emersi oggi durante il seminario “Legami tra imprese concorrenti nel settore bancario e finanziario” organizzato alla Bocconi dall’Osservatorio su concorrenza e regolazione, formato da docenti dei dipartimenti di economia e di scienze giuridiche dell’ateneo con il fine di coordinare la ricerca sul tema.
Le analisi sulle partecipazioni in imprese concorrenti e sui fenomeni di interlocking, ossia di legami anche personali tra società, ha tratto spunto dall’indagine conoscitiva che l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha effettuato sulla governance nei mercati finanziari, che si è conclusa nel dicembre del 2008. “Le partecipazioni possono essere passive (mera detenzione di un pacchetto azionario)”, ha spiegato Federico Ghezzi, ordinario di diritto commerciale alla Bocconi e membro dell’Osservatorio, “oppure attive, prevedendo anche la nomina di membri degli organi di gestione. Vi sono poi gli interlockings, i legami personali. I rischi derivanti da partecipazioni passive sono simili a quelli delle concentrazioni orizzontali e favoriscono una politica di aumento dei prezzi”. Per un’impresa è profittevole aumentare i prezzi dei propri prodotti, là dove abbia una partecipazione in una concorrente, visto che essa guadagnerà anche se, proprio a causa degli aumenti, i clienti passeranno alla concorrente. L’interlocking inoltre può determinare effetti anticoncorrenziali nel mercato, a causa dei possibili scambi di informazioni privilegiate tra i membri dei vari board, determinando così anche conflitti di interesse e problemi di governance.
L’analisi fatta dall’Agcm, tuttavia, “andrebbe ulteriormente affinata, non considerando, tra l’altro, l’adeguatezza degli strumenti antitrust. Per esempio, se le partecipazioni passive o attive non portano a un controllo dell’impresa, esse non rientrano nella disciplina sulle concentrazioni. L’indagine svolta dall’Agcm poteva essere l’occasione per pensare a nuovi strumenti europei e nazionali come il divieto di interlocking vigente in Usa, o come i limiti al diritto di nomina degli amministratori in società concorrenti non controllate, che potrebbe diminuire il fenomeno del cumulo delle cariche”. L’analisi dell’Autorità sarebbe inoltre troppo incentrata sulla buona governance, e la conseguente concorrenza reputazionale che dovrebbe portare all’autoregolamentazione con l’emergere di statuti anti interlocking, come antidoto per il sistema. “Ma l’evidenza empirica ha mostrato come la buona o la cattiva governance siano relativamente indifferenti per gli investitori. Inoltre, la pratica mostra che nessuno, riguardo al tema dell’autoregolamentazione, ha realmente aumentato le tutele nei confronti degli azionisti di minoranza”.
Tra le soluzioni prospettate dall’antitrust a seguito dell’indagine vi è l’aumento delle trasparenza, riducendo le soglie (2%) oltre le quali si deve rendere pubblica la partecipazione, imponendo agli azionisti che la acquisiscono di specificare se questa è fatta a soli fini speculativi oppure se prevede fini partecipativi veri e propri, come la nomina di amministratori. “L’abbassamento della soglia al di sotto del 2%”, ha però aggiunto Magda Bianco, condirettore dell'Ufficio diritto dell'economia di Banca d’Italia, “può tuttavia diventare un meccanismo antiscalata e rischia di allontanare gli investitori istituzionali, si tratta dunque di una proposta controversa”. Bianco ha poi evidenziato alcuni dati relativi alle concentrazioni e sugli interlockings a livello internazionale, sottolineando come “quest’ultimo fenomeno riguardi tanto la finanza che la non finanza, sebbene nella prima sia più centrale”. Quello dei legami personali tra società “è un fenomeno che va valutato attentamente”, ha continuato Bianco. “Occorre capire quanto interlocking sia associato a partecipazioni azionarie e quanto, invece, ad altri tipi di legami”. Secondo l’analisi di Magda Bianco, le partecipazioni di banche quotate in altre banche quotate si è ridotta negli ultimi anni, e la media dell’8,6% dell’Italia sarebbe in linea, se non migliore, rispetto a quella di altri paesi europei, mentre è alto il valore delle partecipazioni non finanziarie negli istituti di credito. Circa la concentrazione della proprietà, poi, se per le banche la situazione italiana è in linea con quella europea (26,7%), risulta invece alta nelle private non finanziarie (45%).