Senza innovazione competitività addio
Bisogna saper investire su soluzioni all’avanguardia non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche organizzativo e di sistema. Parola di Attilio Martinetti, direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già direttore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di commercio di Milano dedicata a questo tema
Speciale Innovazione – Parte prima
Guardare e investire nell’innovazione per essere competitivi. Un’innovazione non solo tecnologica ma soprattutto organizzativa e di sistema, capace di puntare e investire prima di tutto sulle persone e sulla ricerca applicabile alle imprese, in tutti i settori.
Alla base di tutto, sostiene Attilio Martinetti, da poco nominato direttore generale dell’Agenzia nazionale per l’Innovazione e già direttore di Innovhub, l’Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano per l’innovazione, è necessaria la condivisione e lo scambio di conoscenze e strumenti tra pubblico e privato, centri di ricerca, imprese e istituzioni.
Dal suo osservatorio privilegiato, come definisce, nel suo insieme, l’innovazione?
L’innovazione comprende tutto ciò che, attraverso un cambiamento da parte delle aziende e del contesto, consente di sviluppare la competitività. In un Paese come il nostro, caratterizzato da tante piccole e medie realtà imprenditoriali, l’innovazione passa attraverso l’innovazione organizzativa e metodologica, non tanto tecnologica. Non si tratta dell’aspetto povero dell’innovazione anzi. I nostri casi di maggior successo sono proprio frutto di una innovazione di questo tipo. Basti pensare alla moda, al fashion e al design. A livello mondiale, l’innovazione italiana è riconosciuta come vincente; prendo come riferimento una ricerca dell’Università di Harvard in cui si mette in evidenza che il 44% dei designer che operano per i principali brand riconosciuti come italiani, sono stranieri. Segno della presenza di una vera e propria “scuola italiana”.
Le aziende italiane sanno investire in questo tipo di innovazione?
Come dicevo prima le nostre aziende sono in maggioranza di piccole e medie dimensioni. A livello europeo lo sono il 95%. Purtroppo queste realtà sono spesso sottocapitalizzate e c’è una forte presenza del sistema artigiano: la Lombardia ha qualcosa come 780mila imprese di cui più di un terzo, 260mila artigiane. Di queste più del 30% è artigianato manufatturiero. A livello lombardo, due anni fa, abbiamo portato avanti una ricerca articolata, coinvolgendo 1.500 imprese che operano nei settori innovativi, edilizia compresa. È emerso che solo il 9% di imprese possono essere considerate “innovatrici”; il 21% è antropologicamente uguale alle prime ma investe in modo discontinuo. Ciò che spaventa è il 70% di aziende inerti, che non investono. Se a questo aggiungiamo che l’innovazione rappresenta una categoria dove il 30% le imprese ha un titolare che ha più di 55 anni, e circa il 30% di questi aspetta l’occasione meno svantaggiosa per chiudere, possiamo dire che la situazione non è delle migliori. L’impresa manca di quegli stimoli e vocazione all’innovazione e alla realizzazione dell’improbabile e al rischio.
In un contesto di crisi e con tante realtà piccole, come l’innovazione può aiutare e quali canali sfruttare?
Il primo investimento importante deve essere fatto nelle persone. È l’unica strada che si può percorrere per poi investire in macchinari e strumentazioni.
Come Agenzia come intervenite a supporto delle imprese?
L’Agenzia per l’Innovazione è sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e ha lo scopo di integrare il sistema della ricerca con quello produttivo attraverso l’individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale. L’Agenzia è l’ente di riferimento per quanto riguarda la valutazione di progetti in particolare quelli relativi al bando sul made in Italy di Industria 2015. In pochi mesi questo bando ha raccolto 429 domande di consorzi di 15/20 imprese ciascuno che si candidano a sviluppare progetti di innovazione radicale. L’Agenzia inoltre fa da ponte fra il sistema della ricerca pubblica, non solo universitaria ma anche dei centri CNR e dell’Istituto Nazionale di Sanità, e il vasto mondo delle piccole e medie imprese. Penso l’Agenzia come un luogo di confronto, scambio e condivisione, ponte tra pubblico e privato, tra territorio e funzione, che mette a sistema i tre principali protagonisti dell’innovazione: i centri di ricerca, che producono idee e fanno innovazione, l’economia, che se ne alimenta, e le istituzioni, deputate a creare quel terreno fertile per la diffusione capillare di questa ricchezza. L’obiettivo è quello di far convergere le tecnologie di certi settori su ambiti diversi, ad esempio nel distretto della ceramica ci possono essere delle soluzioni anche per altri ambiti, arrivando così ad allargare il mercato.
Ha toccato il tema “Università”. Come considera il ponte che unisce il mondo accademico con le realtà imprenditoriali?
Ci sono progetti validi o c’è ancora molto da lavorare? Sicuramente, e non è un segreto, manca un ponte solido e resistente tra queste due realtà a causa di un numero esorbitante di facoltà, distribuite in modo diff orme rispetto al reale bisogno di ricerca. Non mi rasserena il fatto che fi no all’anno scorso le matricole in Scienze della Comunicazione siano state 58mila e di contro siano diminuite quelle nelle facoltà più tecniche che garantiscono una specializzazione maggiore e quindi uno sbocco lavorativo sicuro. Un altro problema è rappresentato dal capitolo “brevetti”: l’attuale riforma ha inserito nei parametri di maggiore o minore contrazione dei finanziamenti anche il parametro dei brevetti e questo ha portato a un aumento del numero dei brevetti che spesso non sono applicabili e cantierabili. Non solo, spesso il contesto non mette il ricercatore nelle condizioni di assumere quelle minime capacità imprenditoriali, cosa che invece succede ad esempio negli Stati Uniti.
Tra i settori considerati innovativi compare sicuramente la “Green economy”. Come vede l’investimento delle imprese in questo settore?
Sicuramente positivo considerando che circa 129mila imprese in Lombardia si occupano di edilizia e oggi più che mai parlare di edilizia sana ed ecologica è sinonimo di innovazione. Le Regioni inoltre si stanno dimostrando aperte a questo tipo di investimento. L’ecoedilizia inoltre si lega con la domotica come casa particolarmente amica dal punto di vista dei consumi energetici soprattutto in Paesi come il nostro con un clima continentale.
Come vede lo scenario futuro?
Con relativo ottimismo. Esiste un tessuto, seppure minimale, che si sta muovendo nella giusta direzione. Sto vedendo inoltre una buona capacità di adattamento alle difficoltà. Se vedo delle ombre, questo sono le incapacità di usare e sfruttare i nostri asset principali come leve di sviluppo. In Italia abbiamo il 60% del patrimonio artistico del mondo e beneficiamo di un clima favorevole, questi sono asset che a mio parere non sono valorizzati abbastanza.
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