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Economia/Imprese

Trust, la flessibilità nel gestire il proprio patrimonio

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Come tutelare il patrimonio, l’azienda di famiglia, i beni riportati in Italia con lo scudo fiscale, tramite il Trust, uno strumento giuridico recepito dal diritto anglosassone . Ne ha parlato a B&G l’avvocato Maria Grazia Monegat di LS Lexjus Sinacta

Il trust (letteralmente “fiducia”) è un istituto di origine anglosassone con il quale la proprietà di un bene viene trasferita a un soggetto fi duciario al fi ne di perseguire un interesse meritevole di tutela. Come funziona un Trust? Il Trust è un atto unilaterale nel quale la proprietà di un bene viene trasferita dal disponente a un soggetto fiduciario, il trustee, che non ne ha la piena disponibilità in quanto vincolato da un rapporto di natura fiduciaria che gli impone di esercitare il suo diritto reale a beneficio di un altro soggetto (beneficiario) al quale saranno trasferiti in piena proprietà i beni alla fine del trust, oppure di uno scopo.

Il trust può riguardare sia beni mobili che beni immobili. I beni appartenenti a un trust non possono essere oggetto di pignoramento, né da parte dei creditori personali del disponente, giacché sono usciti dal suo patrimonio, né da parte dei creditori del trustee, perché vi è la segregazione, né del beneficiario che ha una mera aspettativa su di essi. In Italia non c’è una norma di diritto interno che regoli il trust, ma l’istituto trova legittimazione nell’ordinamento giuridico italiano a seguito dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva grazie alla Legge 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1 gennaio 1992. È dunque possibile realizzare anche nel nostro Paese una protezione del patrimonio istituendo un trust c.d. “interno”, nel quale l’unico elemento di estraneità è la legge regolatrice. Ciò è possibile se il programma di protezione del patrimonio persegue un interesse lecito e meritevole di tutela. Cosa può fare il trust per l’impresa? Ecco alcuni esempi:

Concordato stra-giudiziale e risanamento della crisi d’impresa
La riforma del diritto fallimentare ha “privatizzato” la gestione della crisi d’impresa e, anche quando la crisi è tale da determinare l’impossibilità a continuare nell’attività d’impresa perché sono venute meno quelle risorse che ne consentivano la vita stessa, consente di trovare un accordo con i creditori per sanare i debiti. Tramite questo accordo, denominato appunto concordato, l’imprenditore, sulla base della perizia di un esperto, sottopone ai propri creditori che poi sono chiamati a votarlo, un piano per rientrare di una parte del loro credito, attraverso la liquidazione dei beni dell’azienda. In questo caso, il trust potrebbe servire a isolare determinate risorse, a esempio i crediti che man mano vengono riscossi dall’imprenditore in pagamento delle forniture realizzate, in modo che nessuno dei creditori possa aggredirle, in rispetto della “par condicio creditorum”, per il tempo necessario a realizzare l’accordo o comunque sino all’apertura di una qualsiasi procedura concorsuale.

Gestire le partecipazioni societarie, ad esempio con i patti di sindacato aventi effetto reale
I patti di sindacato sono quegli accordi che i soci assumono, ad esempio, per votare in un certo modo nelle assemblee, e per mantenere quindi una certa governance. Sono patti, ovvero contratti, che hanno un’efficacia obbligatoria, ossia obbligano le parti ad adempiervi anche se libere di non farlo, nel qual caso si procederà nei loro confronti per inadempimento. Se poi il socio che ha aderito al patto decede, il suo impegno non si trasmette agli eredi. Non solo, se il socio che ha aderito al patto ha a propria volta dei debiti e i suoi creditori vanno ad aggredire le quote finalizzate a realizzare un certo assetto nella governance, anche se queste quote sono poste sotto la tutela di un custode, il patto non ha più ragione di esistere. Un trust invece elimina tutti gli inconvenienti legati al decesso di un socio o a un suo eventuale cambio di idea, perché conferire in un trust un pacchetto di azioni, fi nalizzate per esempio a realizzare un certo assetto nella governance oppure finalizzate a una trasformazione della società o a una sua fusione con un’altra società, crea una segregazione reale. Il trustee dovrà quindi perseguire lo scopo del trust (che può essere per esempio far quotare in borsa una società, porla in liquidazione, traformarla da SpA in una Srl, etc..) e se il trustee dovesse venire a mancare, ci sarà un altro trustee che continuerà a perseguire lo scopo del trust, la cui garanzia è data dal fatto che ha un eff etto reale e non meramente obbligatorio.

Favorire il passaggio generazionale
Il trust favorisce il passaggio generazionale perché consente di ovviare agli inconvenienti della successione. La successione crea una comunione ereditaria e come tutte le comunioni è destinata a essere sciolta: non si possono obbligare i comproprietari a mantenere la comunione. Il patto di famiglia è oggi il modo più utilizzato per attuare il passaggio generazionale d’impresa. Si tratta di un contratto, per cui bisogna trovare l’accordo di tutti coloro che sono in quel momento eredi, cosa non sempre semplice. Inoltre, il patto di famiglia presuppone che il figlio che riceverà l’impresa o le quote di partecipazione della società, debba poi liquidare gli altri eredi. Il trust elimina tutti gli inconvenienti del patto di famiglia poiché l’assegnatario immediato è il trustee, mentre gli assegnatari mediati sono i beneficiari i quali possono essere sia gli eredi, sia coloro che non lo sono. Inoltre il disponente può rimanere il benefi ciario delle quote che mette in trust e mettere in trust solo la nuda proprietà, mentre nel patto di famiglia può trasferire totalmente le quote. Il trust può quindi essere utilizzato come un patto di famiglia con tutte le fl essibilità che il patto di famiglia non possiede.