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Economia/Imprese

Business Reengineering. Fare la differenza in mercati fluidi competitivi

business reengineering

Secondo il Centro Studi di Confindustria nel 2011 l’economia crescerà poco, la disoccupazione non si ridurrà e solo dal 2015 si dovrebbe ritornare a livelli pre-crisi.

Il P.I.L. nel 2011 crescerà l’1,1%, molto meno rispetto ad altre economie Emea (per esempio la Germania si dovrebbe attestare al 2%) o dei Brics ( 4,5% Brasile, con Cina e India in testa al 9%). La disoccupazione tornerà a scendere solo nel 2012, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010 il numero occupati in Italia è diminuito di 540.000

Un quadro tutt’altro che positivo, con conseguenze derivanti dalla crisi iniziata nel 2008 di:

  • Deflazione – stop produttivi
  • Calo produzione – diminuzione disponibilità beni/servizi
  • Taglio costi e calo profitti – chiusure, ristrutturazioni e delocalizzazioni aziende
  • Calo occupazione – calo consumi
  • Stretta creditizia – difficoltà accesso a fonti finanziamento
  • Sofferenza nei pagamenti – cash flow negativo e mancanza risorse per la produzione
  • Fallimenti – difficoltà approvvigionamenti rischio per fascia A o tecnologie proprietarie
  • Politiche commerciali aggressive – abbassamento prezzo a scapito qualità e servizio

La sfida imprenditoriale si sposta sul terreno delle nuove idee e come trasformarle in business per essere differenti. Per evitare la tentazione di aumentare il capitale di debito, di subire gli eventi, la mass commoditization ed aumentare il valore degli intagibles (risorse rilevanti a disposizione di una azienda per la sua capacità competitiva ed il stakeholders transfert value).

La capaticà di mettersi in gioco e una visione d’insieme sulla rotta da seguire, è fondamentale per la continuità del business; molte aziende attualmente leader non esistevano o non erano tali 20 anni fa. Si pensi all’impatto della leadership cannibalization su settori esistenti o nuovi (creati da loro) di Amazon, Apple, Brembo, Diesel, Ebay, Facebook, Foxconn, Geox, Google, Mediaset, Ryanair, Starbucks, Tata, Tesla, Virgin, Zara. O agli antipodi micro realtà radicate sul territorio, ma poco conosciute, come Vietnamonamour a Milano (attivo nella ristorazione etnica). Tutte con in comune la capacità imprenditoriale di trasformare bisogni latenti, idee e sogni in solide realtà imprenditoriali (e in Italia avendo superato il terzo anno di attività, acquisendo un maggior Kpi rating di valutazione solvibilità e solidità aziendale in ambito creditizio).

Ma come ogni start-up o azienda avviata per poter contare sulla “disponibilità sociale” da parte degli stakeholders, evitare modelli di business insostenibili e il fallimento (esempi noti a diverso titolo sono Enron, Freedomland, Giacomelli, Lehman Brothers, Parmalat, Worldcom) sono importanti i fondamentali (anche secondo le teorie manageriali di Peter Ferdinand Drucker e Michael Eugene Porter).

Un business plan dei fondamentali come rappresentazione credibile, perseguibile e reale del modello aziendale. Non basato su dati, informazioni, numeri gonfiati e presunti come successe per molte dot.com/aziende, al solo scopo di raccogliere capitale di ventura o nascondere l’insostenibilità del business alla comunità finanziaria.

Ci sono però eventi isolati, inaspettati definibili “Cigno nero” (come afferma Nassim Nicholas Taleb docente americano di Scienze dell’incertezza) che possono avere un impatto enorme e solo a posteriori spiegati. Eventi disastrosi come lo tsunami del Pacifico nel 2004 o tecnologici come la diffusione di internet (secondo la logica del Cigno nero), evidenziano quanto lo sconosciuto è molto più importante del noto. Soprattutto per gli eventi che provocano a catena (nota anche la relazione del fisico Edward Lorenz “butterfly effect”).

Taleb afferma che il futuro sarà sempre meno prevedibile e che sia necessaria molta più immaginazione in un mercato liquido. Mercato liquido che si trasforma velocemente con rischio di mass commoditization standartization. Nel suo libro “Commodity Trap – Sconfiggere le insidie della banalizzazione dei prodotti” Richard A. D’Aveni (professore di management strategico presso la Tuck School of Business e autore di numerosi articoli pubblicati su Harvard Business Review, The Financial Times, Wall Street Journal) avverte sul rischio che la commoditization ormai non si limita esclusivamente alle commodities. Molte aziende rischiano di cadere nelle trappole create da una forma di ipercompetizione (sui prezzi, prodotti allargati ecc. definite commodity trap), che hanno il potenziale per distruggere interi mercati, settori industriali e portare al fallimento anche imprese affermate. Non sempre è tutto dovuto a fattori esterni l’azienda; la commoditization è strettamente collegata anche al modello di business aziendale poco sostenibile.

Anche Youngme Moon (professoressa di Business Administration all’Harvard Business School) nel suo libro “Differente – Il conformismo regna ma l’eccezione domina”, conferma che il paradigma comune in molte aziende è l’importanza di ipercompetere per differenziarsi. Ma competere con i concorrenti esclusivamente sugli aspetti e funzionalità di prodotti/servizi, ha l’effetto di rendere indifferenziati per gli utilizzatori finali. Utilizzatori finali consapevoli del loro potere, che con gli strumenti a disposizione su internet (motori di ricerca, siti di comparazione, social network ecc.), possono fare comparazioni in tempo reale e ricevere feedback sulla vostra azienda tramite il word of mouth. E sappiamo come il potere virale del word of mouth può influenzare le decisioni di acquisto (rimando alla piramide di Manslow).

Bisogna uscire dal meccanismo dell’indifferenziazione proponendo qualcosa di significativamente differente, fondamentale, esauriente e nuovo (come fatto da Apple con l’Iphone o Ryanair con i voli low cost zero frills). Da aziende follower a brand capovolti che offrono meno quanto tutti “allargano i prodotti/servizi in bundle”, ma sorprendono con qualcosa che non ci aspettava e che nessun’altro propone. Oppure brand che rendono più esclusiva, più inaccessibile, più anticonformista la loro presenza sul mercato.

Una Strategia Oceano Blu per vincere senza competere (libro di Kim W. Chuan e Mauborgne Renée edizione 2005) dove la pressione competitiva sia meno condizionante e prevalga la value proposition, la profit proposition (che non si coniuga con prezzi vantaggiosi) e la people proposition dell’azienda.

Di Alberto Claudio Tremolada