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I meccanismi dell’azienda Tv

tiraboschi

Il direttore di Italia 1, Luca Tiraboschi, ci mostra il mondo della televisione visto dall’interno. Per scoprire come funziona un canale tv: dal business alle strategie, dal target alle politiche del palinsesto

Per chi la guarda dal divano sembra tutto molto semplice. Telecomando alla mano basta scegliere un canale e dentro a quel canale il programma che vogliamo. Gesti quotidiani, meccanismi scontati: eppure dall’altra parte dello specchio c’è un mondo complesso, fatto di strategie, di scelte precise, di budget da rispettare e di coordinamento. Come funziona un canale televisivo? Ha gli stessi schemi di un’azienda normale? Anche la tv ha risentito della crisi? A queste ed altre domande ha risposto Luca Tiraboschi, direttore di Italia 1, che ci ha aperto le porte di una realtà come Mediaset per scoprire, tra fascino e routine, cosa c’è dentro la scatola della tv e come si struttura questo tipo di business.

Cosa vuol dire fare il direttore di un canale tv?
Questa è una domanda che mi fanno in molti perché da fuori è difficile capire cosa significhi davvero fare il direttore di una rete televisiva. Se dovessi fare un paragone calcistico, anche se è uno sport che non amo, direi che è un ruolo simile a quello del commissario tecnico della Nazionale. Bisogna avere conoscenze ed esperienze specifiche del proprio campo, sfruttare al meglio le risorse disponibili, essere buoni amministratori, avere capacità creative, dimostrare una certa quota di autorevolezza, ma anche essere buoni diplomatici. Questa è la mia visione, un ruolo che presuppone una miscela ampia di ingredienti. Basta tenere conto che un direttore di rete ha anche la responsabilità penale di ciò che va in onda, come il direttore di un giornale e questo aspetto ci porta a esercitare un controllo editoriale attento. Anche l’aspetto creativo delle produzioni deve naturalmente sottostare a questa responsabilità. Insomma un mestiere per il quale non c’è il libretto delle istruzioni: è una somma di caratteristiche che bisogna essere capaci di mettere in gioco, senza trascurare l’istinto.

Proviamo a confrontare un’azienda tradizionale con un canale tv: quali sono le principali voci per ricavi e spese?
Un canale televisivo commerciale come nel caso di Mediaset è estremamente strutturato. Italia 1 ha circa un centinaio di dipendenti con una attività produttiva interna 24 ore su 24, ovviamente con “prodotti” che sono più teorici che materici, ma che si comportano e si sviluppano proprio come una categoria merceologica. Gli introiti principali derivano dalla pubblicità, visto che per l’utente finale è tutto gratuito. Le maggiori uscite riguardano la costruzione del palinsesto che è composto da varie aree. Particolarmente onerosi sono i costi per l’acquisizione dei diritti sportivi come nel caso del motomondiale, del tennis, del calcio. Anche realizzare programmi come “La talpa” o “La pupa e il secchione” hanno costi di alta gamma. Eppure noi off riamo tutto questo gratuitamente.

E’ possibile paragonare un canale tv a un prodotto?
Direi che un canale tv è come una griffe di moda. Tutte le varie collezioni sono accomunate dal modo d’operare dello stilista. Quando si compra una marca si compra uno stile, qualcosa di cui conosciamo le caratteristiche distintive. Così è un canale: chi sceglie Italia 1 sa perfettamente cosa andrà a guardare perché il canale ha una sua caratterizzazione specifica.

Qual è il vostro pubblico di riferimento?                                                                                                                                                  Il nostro pubblico di riferimento è, dal punto di vista formale, quello dei cosiddetti giovani e va dai 4 ai 35 anni. Nella mia gestione ho cercato di forzare questo schema allargando il range in modo da poter abbracciare un pubblico più vasto ma che avesse attitudini giovanili, cercando di non far sentire fuori quota chi avesse un’età maggiore ma fosse interessato ai nostri contenuti. Senza fare proclami, senza una chiassosa rivoluzione, ho cercato giorno dopo giorno di rompere questo steccato per mettere a punto una nuova concezione di pubblico giovane. Oggi la nostra è una visione molto più allargata, non potevamo stare chiusi in una scatola. E’ una questione sociale perché il pubblico ha voglia di sentirsi giovane indipendentemente dalla carta d’identità. Noi abbiamo cercato di dare una certa coerenza nel corso di tutte le 24 ore di trasmissione quotidiana, una sorta di fil rouge che definisse una identità di rete. Questa è una cosa difficile da costruire e soprattutto difficile da mantenere. Il pubblico è infedele, si fa affascinare dalle novità, dalle possibilità che si trova attorno. Quando può scegliere è difficile da conquistare e trattenere a lungo. Noi cerchiamo di farlo, con i piedi per terra, ma con tante piccole e grandi novità che possano affascinare i nostri telespettatori.

Qual è il rapporto di Italia 1 rispetto agli altri canali Mediaset?
Mediaset da qualche anno opera un gioco di squadra molto orchestrato. Organizziamo periodicamente incontri anche lunghi e ruvidi, ma costruttivi, per dar vita in modo armonico ai palinsesti per evitare la concorrenza tra noi. Alla fine cerchiamo di mettere a fuoco un’idea condivisa e coordinata che è molto importante. Una strategia che tenta di presentare il complesso di reti Mediaset come una risposta organica alle aspettative del pubblico. Così i canali sono obbligati a rispettare delle caratteristiche definite, anche se ci sono delle eccezioni e a volte i prodotti di Italia 1 finiscono per irrobustire la programmazione di altri canali. Insomma cerchiamo di darci dei confini precisi perché la galassia Mediaset è diversa dalla galassia Rai dove questa suddivisione non c’è. Questo approccio è qualcosa di molto interessante nel nostro lavoro, perché genera confronto, presuppone coordinamento e una certa visione. Molto più facile fare il direttore di un canale a sé stante che farlo all’interno di un gruppo di reti, però è molto stimolante.

Come si vive questo periodo di crisi nella prospettiva di un canale tv?
Anche noi abbiamo risentito ovviamente della crisi. C’è un calo degli investimenti pubblicitari non tanto quantitativo, quanto ponderale riguardo i nuovi inserzionisti. Questo si riverbera su un’attività meno florida del palinsesto: il taglio dei costi è d’obbligo anche perché dobbiamo stare attenti a conservare il dividendo degli azionisti. Però la crisi ha anche un suo lato positivo, è utile per aguzzare l’ingegno, è una spinta per dar vita a cose nuove e belle con costi ridotti.

Il digitale terreste, cosa rappresenta per il pubblico questa rivoluzione in corso?
E’ un cambiamento tecnologico, che si innesta obbligatoriamente per legge nel tessuto della nostra nazione da sempre un po’ refrattaria a questi cambiamenti. Ma questa è una scommessa di qualità e quando arriverà su tutto il territorio darà vita a uno scenario di maggiore concorrenza, di maggiore off erta: compariranno dal nulla canali che ora sono visibili solo per chi li ha voluti. Quando tutto il sistema sarà operativo al 100 per cento dovremo studiare e analizzare la reazione. All’inizio ci sarà un po’ di confusione, poi prevarrà il prodotto. Noi siamo pronti a costruire qualcosa di nuovo e divertente.

Con quale attenzione la tv generalista guarda a Sky? Il futuro sarà sempre di più on demand e pay per view?
Il pacchetto Sky è l’esatto esempio di off erta che può piacere al pubblico di Italia 1. Un servizio che gode di una buona copertura stampa, che a volte lo rappresenta meglio di quanto lo sia davvero. Sky è una somma di canali e complessivamente raggiunge un 7 percento di pubblico, ma se noi andiamo ad analizzare ogni singolo canale ci accorgiamo che i più visti viaggiano intorno allo 0,3 percento. Non è corretto paragonare Sky che è un contenitore di 100 piccole cose con un singolo canale come Italia 1 che da solo guadagna l’11 per cento di pubblico. Questo concetto non è stato ancora ben capito, di fatto non sono realtà paragonabili.

Tv e internet: quali sfide possibili?
Non amo molto internet, sono scettico, ritengo il web più un pericolo che un’opportunità. Certo ha delle potenzialità enormi ed è un meccanismo fantastico, però è poco controllabile, anche per l’utente che lo usa. Questo ragionamento vale soprattutto per i ragazzi e spesso i genitori non hanno strumenti sufficienti per operare un controllo. La televisione che si muove sul quel tipo di strumenti è molto lontana anche se ne sentiamo parlare molto: ci sono tante opinioni, ma si fa poco concretamente. Può darsi che mi sbagli, ma non vedo un grande sviluppo della televisione su internet.

Auditel, vita o morte di un programma, è l’unico fattore discriminante? Ma qual è la sua attendibilità?
Per una televisione commerciale che deve garantire visibilità ai suoi inserzionisti, questo è di fatto l’unico strumento di valutazione finale. Se un programma non ha pubblico, per noi è difficile non stopparlo. Bisogna mettere da parte l’ipocrisia e guardare in faccia le cose come stanno. Sull’attendibilità dell’Auditel, noi ovviamente ci crediamo, ci fidiamo: è uno strumento di lavoro con cui ci misuriamo tutti i giorni.

Lei è un bergamasco doc, quanto c’è di questa dimensione nel suo approccio al lavoro, nelle scelte che fa…
Rispetto allo stereotipo del bergamasco io mi ci rivedo completamente. Quello che mi duole è constatare è il decadimento della città. Spiace vedere una perla come Bergamo progressivamente abbandonata a se stessa. Non è una metropoli, è una città piccola e dovrebbe essere facile da gestire. Dopo aver vissuto 10 anni a Milano ho deciso di tornare a Bergamo convinto di ritrovare uno spazio a misura d’uomo com’era in passato. Invece mi sono dovuto scontrare con una realtà in decadimento.

Parliamo del Tiraboschi scrittore. Tre libri di successo all’attivo: ci sono novità in programma?
Quello della scrittura è quasi un secondo lavoro. Realizzare romanzi è faticoso e complicato, sempre difficile trovare lo slancio iniziale. Ora sto lavorando a una nuova idea, legata alla fantascienza: c’è già lo schema e spero di trovare la forza di avviare il meccanismo che poi mette in moto tutto per gettarmi a capofitto in questo progetto.

La carriera Luca Tiraboschi nasce a Bergamo il 22 luglio 1963. E’ laureato in Architettura con una tesi dedicata a “Dario Argento. L’estetica dell’assassino. Il ruolo dello spazio nel disegno cinematografico della Paura”. Nel 1991 è stato assunto a R.T.I. nell’area produzioni televisive. Passa successivamente a Canale 5 come delegato di rete. In seguito assume l’incarico di produttore e curatore firmando numerosi programmi di successo quali “Buona Domenica”, “Festivalbar”, “Beato tra le donne”, “Ciao Darwin”, “Premiata Teleditta”. Nell’aprile 2001 viene nominato Vice Direttore di Canale 5. Dal maggio 2002 è Direttore di Italia 1. Luca Tiraboschi è anche fumettista e romanziere. Per la sua vena fumettista ha creato il personaggio “Goccianera” (tradotto in molti paesi europei) e per il mercato americano nel 2006 esce con un nuovo eroe dal nome “Albert”. Mentre come scrittore nel 1998 pubblica il suo primo romanzo “L’Ospedale delle bambole”, un thriller mozzafiato incentrato sulle manie di un serial killer, che ha venduto oltre 5.000 copie e che sta per essere tradotto in molti paesi europei. Nel febbraio 2002 esce il suo secondo romanzo “Il sogno del pazzo” (Alfredo Guida Editore) e il suo terzo romanzo “Faccia di cuore” edito da Armando Curcio Editore, in distribuzione dal maggio 2006 è alla sua terza ristampa. 
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Testi di Mauro Milesi