Moda, il corretto utilizzo della definizione Made in Italy
Quando un prodotto tessile può legittimamente sfoggiare questa dicitura? Un’analisi per fare chiarezza su uno dei “marchi” più importanti per dare valore aggiunto al comparto moda
Quando può essere legittimamente apposto il “Made in Italy” sui prodotti tessili? Un abito composto da tessuto di origine indiana, prodotto a partire da fi lato di origine cinese, confezionato in Italia, che origine avrà? Pur non essendo ad oggi previsto nel mercato comunitario alcun obbligo di apporre l’indicazione del paese di origine sui prodotti messi in commercio, è noto a tutti che l’apposizione del “Made in Italy” garantisce ai prodotti del comparto moda un importante vantaggio competitivo in termini di immagine. Paradossalmente è proprio il comparto più sensibile al “Made in” quello in cui la produzione è maggiormente frammentata su scala globale e nel quale è quindi più difficile individuare il paese di effettiva origine del prodotto. Cerchiamo di capire quale prodotto tessile può essere legittimamente definito un “Made in Italy”. Il caso più semplice è quello di un prodotto interamente ottenuto in Italia: filatura, tessitura, confezione del capo e finitura avvengono in Italia e di conseguenza il capo è per certo un “100% Made in Italy”.
Diverso è il caso in cui un prodotto sia il risultato di processi avvenuti in più paesi e la trasformazione avvenuta in Italia sia quindi solo l’ultima di una serie di lavorazioni che hanno portato a trasformare la fibra in un prodotto finito. In questo secondo caso, dobbiamo prendere a riferimento l’articolo 24 del codice doganale comunitario (regolamento 2913/92) nel quale viene enunciato il principio di carattere generale secondo il quale: “Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale” La corte di giustizia europea ha chiarito il concetto di trasformazione sostanziale precisando nella sua prima decisione in materia (la sentenza sulla caseina del 26/01/1977 Causa n. 49/76) che l’ultima trasformazione o operazione si configura “solo qualora il prodotto che ne risulta abbia composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima di essere sottoposto a tale trasformazione o lavorazione”.
Nonostante l’intervento della Corte di Giustizia, l’indeterminatezza dell’aggettivo “sostanziale” lascia un considerevole spazio all’interpretazione soggettiva. Ad esempio, alcuni potrebbero considerare l’apposizione di inserti in pelle su una maglietta di cotone prodotta in Cina una trasformazione sostanziale, se tale trasformazione ha l’effetto di cambiare in maniera sensibile le caratteristiche e l’aspetto del prodotto finito (gli inserti potrebbe infatti valere di più rispetto alla maglietta sulla quale sono cuciti). Altri potrebbero invece considerare l’apposizione di tali inserti una trasformazione insufficiente dato che non dà origine a un prodotto nuovo e pertanto l’origine rimarrebbe quella del paese in cui è stata fabbricata la maglietta.
L’allegato 10
Consapevole di quest’ampio margine interpretativo, il legislatore comunitario ha derogato al principio generale dell’articolo 24 specificando, per il settore tessile, in cosa consistano queste trasformazioni sostanziali. L’allegato 10 delle Disposizioni di attuazione del codice doganale (reg 2454/93) elenca le precise condizioni di acquisizione dell’origine (colonna 3 dell’allegato) per ogni prodotto tessile, individuato dalla rispettiva voce doganale. L’allegato ci dice in sostanza quali sono le trasformazioni minime alle quali deve essere sottoposta la materia prima non originaria per legittimare l’apposizione dell’ambito “Made in Italy” sul prodotto finito. Le trasformazioni specifiche elencate nella colonna 3 dell’allegato possono essere inquadrate in alcune categorie generali (si rimanda all’allegato per il dettaglio delle lavorazioni sufficienti a conferire l’origine).
Fabbricazione a partire da…
Quando la regola, come nel caso dei tappeti della voce 5704 dice ad esempio: “Fabbricazione a partire da fibre”, significa che possono essere utilizzate fibre non originarie, ma tutte le trasformazioni successive sul prodotto devono avvenire in Italia. In sostanza questa regola autorizza l’impiego di un materiale non originario che si trova in un certo stadio di lavorazione (es. fibre). L’impiego dello stesso materiale non originario in uno stadio successivo di lavorazione (es. filato) compromette il carattere originario del prodotto finito. Fabbricazione a partire da … il cui valore non supera il X% del prezzo franco fabbrica del prodotto. Tale indicazione, come nel caso del cotone della voce 5201: “Fabbricazione a partire da cotone grezzo il cui valore non supera il 50% del prezzo franco fabbrica del prodotto”, significa che è prevista, oltre alla lavorazione a partire da un materiale non originario ad un determinato stadio di lavorazione (cotone grezzo), una tolleranza massima in termini di valore di materia prima non originaria utilizzabile. Pertanto il valore del cotone grezzo utilizzato non può superare il 50% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito. Se il cotone grezzo utilizzato eccede tale percentuale, il prodotto finito non potrà essere considerato un “Made in Italy”, sarà infatti originario del paese in cui è stato ottenuto il cotone grezzo. Come tutte le regole che utilizzano percentuali rimane una certa indeterminatezza in merito al contenuto del numeratore e del denominatore sulla base dei quali effettuare il calcolo della soglia di tolleranza. Semplificando, potremmo stabilire che il confronto debba essere effettuato sulla base dei valori esposti nelle fatture passive di acquisto della materia prima e delle fatture di vendita del prodotto finito. Va però sottolineato che in taluni casi tali valori di riferimento possono non essere rappresentativi del reale valore della materia prima e del prodotto finito e possono essere influenzati da scelte di natura esclusivamente commerciale (aumento del mark-up sul prodotto, prezzo di acquisto influenzato da un controllo esercitato dall’acquirente sul fornitore).
Confezione completa
Per confezione completa, come indicato dalla nota introduttiva 7.2 dell’allegato 9 del regolamento 2454/93, si intendono tutte le operazioni che debbono essere effettuate successivamente al taglio dei tessuti o alla modellatura delle stoffe a maglia. Tuttavia, il fatto che una o più lavorazioni di rifinitura non sia stata effettuata non implica che la confezione debba considerarsi incompleta. L’allegato elenca alcuni esempi di operazioni di rifinitura:
• applicazione di bottoni e/o di altri tipi di chiusura
• confezione di asole
• rifinitura delle estremità di pantaloni o maniche, oppure orli inferiori di camicie, gonne o abiti
• apposizione di guarnizioni ed accessori quali tasche, etichette, distintivi, ecc. • stiratura ed altre preparazioni per indumenti da vendere «confezionati».
Condizioni alternative Nel caso in cui siano presenti due condizioni (fabbricazione a partire da… oppure fabbricazione in cui il valore di tutti i materiali non originari non superi il 40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito) l’operatore potrà scegliere fra le due condizioni e se anche solo una delle due condizioni è rispettata il prodotto finito potrà essere considerato originario. Ricordiamo infine che, in caso del persistere di un dubbio in merito alla determinazione dell’origine di un prodotto, è possibile presentare all’Agenzia delle Dogane un’istanza di informazione vincolante in materia di origine. L’Agenzia entro 150 giorni risponderà con un parere vincolante che obbliga l’Agenzia nei confronti del titolare per tre anni dalla sua emissione.
A cura di Promos Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano