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Pamilla, la bimba è haute couture

pamilla

Artigianalità d'altri tempi per abiti unici

C’è un’eccellenza, nell’alta sartoria italiana, che dedica passione e artigianalità alla creazione di abiti da bambina che sono piccoli capolavori di haute couture. Si chiama Pamilla e ha una storia e delle particolarità uniche che racconta a Luxgallery Luca Corsetti, 32 anni, consulente con delega generale di Pamilla. Come nasce Pamilla?
Il marchio Pamilla nasce nel 2005 dall’idea di un’imprenditrice che, dopo aver operato in ambito commerciale nel campo dell’abbigliamento da bambino, forte delle tante idee che le venivano dalla collaborazione con aziende di primario livello di quel mondo, decide di lanciarsi in una nuova sfida imprenditoriale. Notata la presenza sul mercato di brand con nomi importanti, ma con prodotti qualitativamente poco adeguati alla grandezza del marchio, lei compie l’operazione contraria: punta sul bambino realizzando per lui una haute couture. Ed è proprio la prima impressione che si ha quando si visiona la collezione da osservatore esterno: una haute couture dedicata al bimbo, senza gli eccessi né i lezzi che snaturano i prodotti di tanti marchi presenti sul mercato.

Qual è la filosofia che vi anima?

I bambini fanno i bambini. Devono essere valorizzati e rispettati nel loro ruolo sia dal punto di vista etico che di prodotto: la collezione bambina di Pamilla sembra ispirata alla Shirley Temple degli Anni ‘30-40, vestitini fatti con garbo. Il brand nasce infatti con una forte specializzazione sugli abiti da cerimonia e da “special occasion”, per poi diversificarsi con prodotti eccellenti dedicati all’uso giornaliero. In questo segmento di collezione non si viene comunque meno a quell’accordo di fiducia stipulato con i nostri clienti ed immaginando una proposta denim, si selezionano esclusivamente quei tessuti made in italy tinti in puro indaco naturale.

Dov’è dunque la particolarità da raccontare?
La particolarità che distingue Pamilla dagli altri player è che l’imprenditrice ha ricreato in azienda tutte quelle lavorazioni sui prodotti ormai sparite dal mercato, abbandonate da brand specialistici per motivi di assenza di capacità produttiva e non economicità per strutture aziendali che ormai si sono gravate di alti costi fissi di gestione. La summa di quanto detto si trova nella scelta contro corrente di avvalersi della collaborazione di ricamatrici che sono rimaste le uniche capaci di riprodurre una serie di lavorazioni apprese, più che nelle filiere industriali, direttamente dalla sapienza delle ricamatrici di 70-80 anni fa che hanno contribuito a rendere unico il Made in Italy nel mondo. Parlando del prodotto, in un abito da bambina sono mediamente utilizzati 9 metri di tessuto, numeri da grandi atelier piuttosto che da brand che si occupa di bambini. Per realizzare alcuni dettagli come le lavorazioni a rosa, vengono ricostruiti i boccioli uno a uno, ognuno con un metro di tessuto, e vengono cuciti a mano con una media di 20 minuti di lavoro per ciascuno fatto da mani esperte. E in alcuni abiti ci sono fino a 90 rose… Parliamo di abiti unici, non ne esiste mai uno identico all’altro anche se della stessa serie, proprio perché tutti sono creati con una manualità artigianale che è l’identità del marchio.

Come vi posizionate sul mercato?

In termini di prezzo ci posizioniamo nell’alto di gamma, dove il consumatore è sempre più consapevole di ciò che acquista. Stiamo lavorando per creare una filosofia di brand anche se il prodotto rimane la nostra più fedele carta d’identità. La nostra idea è quella di portare a conoscenza dell’utente finale le lavorazioni nel loro dettaglio, cercando anche di spiegare quali sono le scelte effettuate e perché. A tale proposito nella fase di riprogettazione del sito web, che fungerà tanto da vetrina per la promozione del marchio quanto da “centro di eccellenza”, creeremo un’area dedicata che sarà un vero certificato di appartenenza allo stile. Questo deve essere una forma di contratto con chi ci ha premiato scegliendo il nostro prodotto, vincolandoci al rispetto di quei parametri che rendono sicuro sotto ogni aspetto, in primis economico, l’acquisto dei nostri capi.

In quali mercati siete presenti?
A oggi, non avendo fatto alcuna attività di espansione commerciale, siamo presenti in molteplici mercati internazionali e quello Italiano. Siamo selezionati di volta in volta dai più grandi operatori del settore quasi come fosse un passa parola, basti dire che Harvey Nichols, transitando per Pitti, ha notato il nostro piccolo gioiello e lo richiede nelle proprie aree distributive sia a Dubai che di Londra, così come Harrods. Per la prossima edizione di Pitti Bimbo (21-23 gennaio 2010) in cui saremo presenti con due aree espositive, continueremo a lavorare su un’espansione calibrata del marchio, sempre attenti al binomio qualità ed eccellenza.

Come vi espanderete?

Avendo dato vita a un progetto più stabile e proiettato alla creazione di un brand, ci stiamo occupando anche dell’evoluzione commerciale. La prima area in cui vogliamo debuttare, oltre a quelle in cui già siamo, è il mercato americano. A gennaio saremo negli Usa a presentare il marchio ai principali punti di eccellenza di distribuzione del segmento bambino delle aree di New York e Miami, le prime due su cui lavoreremo. Gli Stati Uniti sono il primo mercato che sta reggendo con particolare forza alla crisi, con aree che anche in passato hanno visto il lancio di nuovi prodotti con risultati molto buoni: rappresentano un mercato per così dire di rinascita.

In un panorama delicato…
Attualmente il mercato è a un punto di svolta, a mio avviso i consumatori hanno smesso di prediligere la firma a tutti i costi che colmi assenze alle volte ingiustificabili sul prodotto offerto ed è proprio questo il momento che realtà come Pamilla abbiano la loro chance. Per questo motivo non abbiamo paura di dire “il nostro prodotto ha un valore X, perché dato dalla risultante dei seguenti fattori: materiali, lavorazioni ecc..” una sorta di scheda tecnica visibile. E’ bene creare nel cliente la consapevolezza giusta perché veda correttamente e onestamente riflessi nel capo che ha comprato i soldi da lui spesi.

Pamilla è 100% made in Italy?

Made in Italy ben oltre il 100%, direi. Ci stiamo dotando della certificazione di filiera per il marchio e l’indotto che lavora per l’azienda non dista dalla stessa più di 10 km. La gran parte delle persone che lavora a questo progetto è allocata nell’azienda stessa e ne costituisce il patrimonio più grande. Non a caso stiamo lavorando a un progetto innovativo nel campo della moda, proprio più dell’alta orologeria o delle esclusive manifatture motoristiche, in cui i prodotti riportano la certificazione dalla persona che lo produce. Non esistono mani o occhi più esperti delle nostre dipendenti.

Artigianalità o tecnologia?
L’azienda ripropone al 100% l’eccellenza delle artigianalità italiane, delle antiche “centrali di moda”; Pamilla non mira a interagire in modo veloce con le mode e le tendenze, ma si solleva da esse e si inquadra in un periodo ben preciso – Anni ‘30-40, appunto – in cui i bambini erano davvero bambini e si vestivano da bambini. La cosa “impressionante” dei nostri capi, è che non sono delicati, basti immaginare che possono essere lavati nella normale lavatrice di casa. Questa prova viene effettuata in azienda una innumerevole quantità di volte per singolo capo, proprio per testarne durata e tenuta.

Dove si trova l’azienda?
Nelle Marche, a Monsano, in provincia di Ancona, e tutto l’indotto come detto è poco lontano da essa. Le poche collaboratrici esterne sono legate a noi in rapporto di esclusiva. Un aspetto significativo del progetto e della sua qualità intrinseca sta nel fatto che l’obiettivo di riproporre le lavorazioni storiche della tessitura italiana comporta l’utilizzo di strumenti altrettanto storici. Basti pensare alle nostre lavorazioni in cachemire, realizzate con pettini da maglia di inizio secolo che in caso di rottura, come qualche volta avviene, ci porta a ricercarli in mercati dedicati al vintage o alla riproduzione degli stessi da musei dedicati alla maglieria.

Quanti dipendenti conta?
Attualmente sono 12, tutte persone che, nell’età vicina alla pensione, hanno fatto la scelta volontaria di sposare un progetto mettendo al suo servizio la loro alta professionalità. C’è poi qualche collaboratore esterno, tra cui un consulente stilistico con importanti esperienze nel campo della haute couture, che supporta l’imprenditrice nello switch tra collezioni bambino e adulto.

Pamilla pensa dunque anche alla mamma?

Nell’ultima collezione presentata a Pitti l’anno scorso c’è stata una preliminare estensione al maschietto con un progetto di manifattura molto vicino al mondo degli abiti sartoriali da uomo adulto. La motivazione che ci ha portati alla decisione di presentare una collezione Donna, deriva dalla pressante richiesta delle stesse buyer, proprietarie di boutique o le stesse clienti mamme di poter ottenere nella loro taglia alcuni capi comprati in collezione. Questa cosa all’inizio semplicemente lusinghiera e comprovante di un lavoro ben fatto, ha raggiunto un livello che ci è sembrato strategicamente ed economicamente valido da perlustrare. Da questa esperienza abbiamo tratto un insegnamento importante, perché abbiamo trasposto sulla mamma la stessa filosofia messa nel bambino. A gennaio di quest’anno presenteremo una capsule collection estremamente limitata in numero di pezzi, dedicata a una donna che affonda la propria volontà di acquisto in prodotti etici, di altissimo livello tecnologico ed artigianale. Non vogliamo fare errori di replica: la mamma della nostra bambina non ne è la copia in scala, anzi: mamma e bimba hanno identità distinte che si associano nella volontà della mamma di potersi fidare incondizionatamente del nostro marchio.

Piani di sviluppo?
Ci siamo dati obiettivi di fatturato chiari e di crescita sostenibile, perché non vogliamo venir meno all’accordo che ci lega ai nostri clienti: limitato numero di pezzi e alto concetto di artigianalità. Ci siamo dati un obiettivo di crescita che rispetti e mantenga nel tempo i valori intrinseci al marchio.

È vero che il vostro catalogo è particolare?
Abbiamo scelto di realizzare degli scatti di catalogo in cui gli abiti non sono indossati ma in still life, animati da folate di vento che ne enfatizzano la leggerezza. Per noi esiste solo il prodotto, non si deve comprare una bambina modella o un’immagine aspirazionale ma, ribadisco, il prodotto: gli abitini sono appesi su un filo e sulle loro grucce come panni stesi, molto semplici. Assomigliano a scatti d’autore più che a un catalogo in senso stretto. Per gli unici scatti indossati è stata utilizzata una bambina modella non professionista. I bambini sono la parte più pura di noi e vogliamo trasferire questo senso di purezza nelle immagini di un catalogo in cui essi stessi non vengono, per scelta, visualizzati.

Link Utili:
www.pamilla.it

Davide Passoni

a cura di Luxgallery.it