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Le regole per un nuovo modello di banca

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Trasparenza, chiarezza, capacità di guardare in faccia agli imprenditori invece di basarsi soltanto sui bilanci: un nuovo modo di vivere il rapporto tra banca e impresa è possibile. E’ quanto sostiene Luigi Mensi, direttore generale della Bcc di Pompiano e Franciacorta, prima banca di credito cooperativo in Lombardia per numero di sportelli e seconda in Italia per patrimonio

Trentacinque anni fa Luigi Mensi muoveva i suoi primi passi nella sede di una piccola Bcc a Pompiano, nel cuore della Bassa bresciana. Un territorio operoso, produttivo, dove la campagna ha imparato a convivere con gli insediamenti della piccola e media industria. Terra fertile, gente di poche parole, abituata al lavoro, a costruire con le proprie mani, metro dopo metro, la strada del proprio futuro.

Una strada spesso in salita, ma qui la fatica, la voglia di provarci non sono mai mancate. E’ dentro a questo piccolo mondo che Mensi ha iniziato a lavorare come cassiere dell’istituto, assunto come dipendente numero sei. In prima linea ha imparato a conoscere le persone, a guardare in faccia imprenditori e famiglie, ad ascoltare i problemi e a capirne i bisogni. Oggi nel 2010 Luigi Mensi è sempre nella stessa banca, da cassiere, passo dopo passo, è arrivato fino ai vertici, diventando direttore generale, incarico che riveste dal 2002. E oggi quella piccola banca di credito cooperativo di provincia è diventata la prima Bcc in Lombardia per numero di sportelli e seconda in Italia per patrimonio, con circa 250 dipendenti e filiali nelle province di Brescia, Bergamo, Cremona, Lecco, Monza/Brianza e da aprile anche a Milano con l’apertura della filiale di Cologno Monzese. Una crescita notevole e il grande salto è arrivato proprio da quando Mensi è alla guida della Bcc di Pompiano e Franciacorta. In questa intervista racconta il suo “modello” di banca, parla della crisi e spiega come un istituto bancario possa diventare un partner importante per le imprese. Questione di trasparenza e di regole precise.

Tempo di crisi, non solo per le imprese, ma anche per un certo modello di banca che forse ha fatto cilecca… Lei cosa ne pensa?
Il 2009 è stato un anno diffi cile per le imprese, ma noi abbiamo sempre cercato di investire sul territorio. E abbiamo anche cercato di portare avanti un modello nuovo di fare banca, in questo modo siamo riusciti progressivamente a strappare clientela ai grandi gruppi. Il modello organizzativo dei gruppi bancari più grossi è spersonalizzante, i direttori delle fi liali sono semplici notai del budget. Noi puntiamo sulla personalizzazione del rapporto, un sistema che è apprezzato soprattutto dalle Pmi.

Nel Dna di una Bcc il concetto di prossimità col territorio è un aspetto fondamentale. Quindi, lavorando a stretto contatto con gli imprenditori, riesce a farci una fotografi a della situazione in questo periodo così complesso?
Il nostro rapporto diretto con il territorioci permette di avere un osservatorio privilegiato della situazione. E io mi sono fatto delle domande: non è che ci stiamo abituando troppo a questa crisi? Vogliamo davvero reagire? Di fatto, in un periodo come questo ci rendiamo conto che operazioni tipiche di investimento non vengono fatte. Credo che questo avvenga per tre motivi principali. Da un lato molte aziende si sono abituate troppo alla crisi e viaggiano con il freno a mano tirato, dall’altro gli sbocchi lavorativi sono notevolmente diminuiti e, infi ne, molte aziende non sono state capaci di riconvertirsi. Eppure, al di là di tutto, noi avvertiamo segnali positivi, ad esempio il manifatturiero si sta lentamente muovendo: ce ne accorgiamo perché abbiamo avuto richieste di aumento dei “castelletti” e delle operazioni a breve termine. E poi stanno aumentando i costi delle materie prime, quindi è un segnale di crescita della domanda. Ci sono segnali anche dall’automotive, noi abbiamo il polso su alcune fabbriche che fanno componentistica e che stanno lavorando su tre turni. Anche l’agricoltura e l’allevamento possono fi nalmente godere di una stabilizzazione dei prezzi.

Quindi, direttore, dal suo punto di vista qualcosa si muove. State aiutando le aziende in questa fase così delicata?
Noi abbiamo avuto un incremento degli impieghi nel 2009 di quasi il 13%: abbiamo dato alle aziende circa 200 milioni in più rispetto all’anno precedente. Mi pare che sia un dato signifi cativo del nostro impegno a sostegno delle imprese. Però le imprese si devono muovere, devono investire e noi non gli faremo mancare i soldi. Non siamo una banca che fa fi nanza speculativa, siamo una banca che lavora sugli impieghi. Però mi preme dire una cosa. Non sono solo le banche che devono andare incontro alle aziende. E’ necessario anche che le aziende rispettino tra loro termini di pagamenti. A volte assistiamo in tv a messaggi da parte di associazioni di categoria imprenditoriali che puntano il dito sulle banche, poi però scopriamo che i grandi gruppi spesso strozzano con le scadenze i loro fornitori. C’è un sistema per cui le grandi aziende chiedono scadenze anche di 180 giorni e, poi, sotto scadenza chiedono ulteriori proroghe. Questo ovviamente è inaccettabile e parte della crisi si potrebbe risolvere se le aziende cominciassero a rispettare tra loro i termini di pagamento.

Certo, però spesso le banche sono attente più ai bilanci e al patrimonio, rispetto al valore dei progetti…
Noi guardiamo in faccia i nostri clienti e il sostegno sui progetti è uno dei nostri fiori all’occhiello. Ad esempio siamo stati i primi in Italia a studiare e proporre un progetto mirato per finanziare il fotovoltaico: è stato un successo. Il modello Bcc presuppone di prendere in considerazione le persone e i loro progetti, prima ancora delle garanzie. Noi le idee innovative le fi nanziamo davvero.

Il 2010 porterà nuove regole, come l’abolizione delle operazioni antergate. Proprio sulle regole andrebbe fatta un’operazione di trasparenza nel rapporto tra banche e imprese…
Sono d’accordo. Io sposo completamente l’idea del resto dei Paesi europei, in cui il rapporto banca-cliente è regolato praticamente solo sul tasso. In Italia, invece, ci sono una miriade di commissioni e in queste operazioni i margini sono esplosi. Io credo che ci si dovrebbe accordare semplicemente sui tassi, definendo con chiarezza parametri e limiti, tutto il resto si può togliere. Questo permetterebbe un rapporto più trasparente con i clienti e consentirebbe anche di fare maggiore chiarezza sui bilanci delle banche. Parliamo del rating, del sistema di cui le banche si sono dotate per classificare le imprese.

Perché le banche non possono dire chiaramente come funziona questo sistema in modo che le aziende possano migliorarsi cercando di rispettare al meglio i parametri presi in considerazione?
Noi lo abbiamo fatto. Addirittura abbiamo messo a punto delle riunioni di zona con i nostri responsabili e le Pmi per spiegare come sono viste le aziende con gli occhi delle banche, come analizziamo i bilanci. Nel nostro sistema di rating è importante anche la componente notching, ossia la conoscenzadiretta con lo storico dell’azienda e delle persone che la rappresentano. In sintesi, non guardiamo solo le carte. Se facciamo 100 il punteggio massimo, il 60% è composto dalla componente notching, dalla conoscenza diretta, da come ti proponi, dalla patrimonializzazione e dalle disponibilità finanziarie.

Come vede il futuro delle Bcc nel mondo bancario italiano?
Il modello Bcc potrà avere qualche problema nel prossimo futuro. Noi abbiamo forti limitazioni e non possiamo accrescere il patrimonio se non attraverso gli utili. Le Bcc deboli dal punto di vista patrimoniale dovranno cercare aggregazioni con le Bcc patrimonialmente forti. E’ un processo inevitabile. A questo punto sarà ancora valido il modello Bcc come lo intendiamo oggi? Riusciremo a conservare l’identità e la prossimità che ci contraddistinguono ora, diventando dei conglomerati di Bcc? Sono questioni aperte, su cui fare quanto prima importanti valutazioni e analisi per capire quale sarà il nostro futuro. In ogni caso noi continuiamo oggi sulla strada tracciata che ci vede sempre più primeggiare per effi cienza e competitività.

Testo di Mauro Milesi