close
Economia/Imprese

La rotta della creatività

la_rotta_della_creativitaSecondo la quarta ricerca del Global CEO Study di IBM i manager italiani vogliono prima di tutto essere creativi ma meno del 50% delle aziende interpellate si sente adeguata alle nuove sfide del mercato. Come spiega Angelo Crippa, general manager di IBM Global Business Services Italia, la tecnologia può correre in aiuto, mettendo a disposizione le sue capacità analitiche e i suoi strumenti

Speciale Creatività – Parte prima

Parola d’ordine creatività quale chiave di volta per superare la complessità di un sistema che è cambiato e per affrontare nuovi e rinnovati mercati e rotta da seguire per uscire dalla bufera economica in atto. Una creatività della cui importanza il mondo dei CEO e degli imprenditori è ben consapevole.

Ma quanti, effettivamente, hanno gli strumenti giusti per metterla in atto? Secondo una ricerca condotta da IBM su più di 1.500 Chief Executive Officer di 60 paesi e 33 settori a livello mondiale, meno della metà dei CEO globali ritiene che la propria azienda sia adeguatamente preparata a gestire un contesto di business altamente volatile e sempre più complesso. In base alle interviste realizzate mediante incontri diretti effettuati dall’IBM Institute for Business Value, i CEO credono che, per navigare con successo in un mondo sempre più complesso, più del rigore, della disciplina nella gestione, dell’integrità e addirittura della “visione” sia necessario possedere la creatività. I CEO si trovano di fronte a importanti cambiamenti – regolamenti governativi, mutamenti globali nei centri di potere economico, rapida trasformazione a livello industriale, volumi crescenti di dati, rapida evoluzione delle preferenze espresse dai clienti – che, secondo lo studio, possono essere superati instillando la “creatività” all’interno delle organizzazioni. “Per creatività – spiega Angelo Crippa general manager di IBM Global Business Services Italia, la divisione che identifica i servizi di supporto decisionale e consulenziale, nonché di system integration, di Big Blue – si intende la capacità di trovare le giuste fonti per capire quanto vale la propria azienda, affidandosi soprattutto all’informatica. Solo in questo modo è possibile riscoprire e ricollocare il proprio brand”. La principale causa dell’incertezza, secondo il 60% dei CEO, sarebbe da attribuire alla trasformazione industriale. Emerge inoltre la necessità di individuare modalità innovative per gestire la struttura di un’organizzazione, le finanze, le risorse e la strategia. Inoltre, lo Studio mette in evidenza una netta divergenza tra le priorità e i timori strategici dei CEO in Asia, Giappone, Europa e Nord America: è la prima volta in cui emergono variazioni regionali così evidenti in questa indagine biennale che coinvolge i leader del settore pubblico e privato. Secondo quanto dichiarato dai CEO intervistati, l’ambiente di business di oggi è volatile, incerto e sempre più complesso. 8 CEO su 10 si aspettano un significativo aumento della complessità del contesto in cui operano, ma solo il 49% ritiene che la propria organizzazione sia equipaggiata per gestirla con successo – la più grande sfida di leadership individuata in otto anni di ricerca. “Oggi il tema fondamentale è la complessità- prosegue Angelo Crippa -; diventa un punto da risolvere soprattutto di fronte a una molteplicità di fonti di informazioni e alla componente crisi che ha peggiorato la situazione”. La complessità, ad oggi, è caratterizzata da una serie di fattori: i CEO, ad esempio, sostengono che dovranno raddoppiare il fatturato da nuove fonti nei prossimi cinque anni; mentre il 76 % prevede il passaggio del potere economico ai mercati in rapido sviluppo.

“Nella ricerca del 2004 era emersa come tematica predominante l’innovazione – prosegue Crippa -; nel 2006 si parlava di gestione dei network; nel 2008 e nel 2010 la complessità è al centro di strategie e gestioni aziendali. Ci troviamo infatti ad affrontare tecnologie nuove, una comunicazione velocissima e numerose informazioni. Come uscire da questa ragnatela? Trovando le informazioni giuste per capire quanto vale la propria azienda utilizzando, per l’appunto, la creatività che tocca molto il settore dell’informatica quale elemento fondamentale. L’informatica infatti non è più solo un supporto o un mezzo ma diventa uno strumento che può suggerire come fare business. Prendo come esempio una catena di distribuzione con cui abbiamo realizzato un progetto che permette di capire in tempo reale cosa i consumatori chiedono e agire immediatamente di conseguenza. Questo permette di migliorare il servizio al cliente e differenziarsi dalla concorrenza”. Innovazione e creatività diventano quindi sinonimi di maggiore efficienza. Lo conferma lo studio stesso secondo cui le organizzazioni che raggiungono le prestazioni più elevate hanno il 54% di probabilità in più delle altre di prendere decisioni rapide. I CEO hanno affermato di aver imparato a reagire rapidamente grazie a nuove idee in grado di indirizzare i profondi cambiamenti che interessano le proprie organizzazioni. E la chiave di volta, per il 95% delle organizzazioni, resta appunto la tecnologia e l’utilizzo di canali web, interattivi e i social media per ripensare al modo di coinvolgere e avvicinare clienti e cittadini. Rispetto alle aziende più tradizionali, le organizzazioni che hanno sviluppato un’eccellente abilità operativa prevedono di acquisire il 20% in più dei ricavi futuri da nuove fonti. Su cosa puntano i nostri amministratori delegati? La ricerca focalizza tre punti principali, ergo le tre leve su cui puntare, come spiega lo stesso Angelo Crippa: “Secondo il 65% dei nostri CEO la creatività resta il primo elemento di differenziazione contro una media del 60% del resto del mondo. Una percentuale che riteniamo essere molto positiva”. Secondo punto il cosiddetto “global thinking”: “Il pensare globale” è al secondo posto per l’Italia (53%), al terzo per il resto del mondo (35%). Al terzo posto invece troviamo la responsabilità sociale, ovvero sia la capacità del personale di dedicarsi all’azienda su cui l’Italia si è espressa con un 38%. Sul fronte estero al secondo posto troviamo invece il fattore dell’integrità (52%). Cosa ci ha sorpreso? La percentuale sul fronte della responsabilità sociale che vede l’Italia avanti con un 57% rispetto al 40% del mondo. Questo significa che i nostri imprenditori e i nostri manager sono consapevoli dell’importanza di avere un ruolo sociale nella propria azienda e quindi di avere una propria missione in quello che fanno”.

Un capitolo a parte è stato dedicato al mondo dei giovani e degli studenti universitari, ergo la futura generazione di CEO. “Abbiamo intervistato 3mila studenti – spiega Crippa – con l’obiettivo di mettere a confronto le differenze di veduta tra i leader attuali e quelli del futuro. Cosa ne è emerso? Le nuove leve ritengono che una delle caratteristiche di leadership più rilevante sia la global affinity, quindi l’andare oltre i confini nazionali per conoscere e vivere culture diverse e vedono la complessità come un’opportunità. Diciamo che da loro è arrivato uno spiraglio di ottimismo”. Lo studio ha inoltre osservato le complessità con cui i CEO devono confrontarsi. La Cina si è dimostrata essere la nazione con maggiore capacità di ripresa rispetto ai paesi sviluppati durante la recessione economica. Per questo i CEO in Cina sono comprensibilmente meno preoccupati della volatilità rispetrispetto ai CEO di altre regioni. In realtà, stanno acquisendo sempre più fiducia nel proprio posto nello scenario mondiale. Ma se la Cina intenderà soddisfare le sue aspirazioni globali, avrà bisogno di una nuova generazione di leader dotati di creatività, visione ed esperienza di gestione internazionale. Molti dei CEO del paese lo riconoscono: il 61% ritiene che il “pensiero globale” sia una qualità di leadership prioritaria. La maggior parte delle aziende necessiterà inoltre di nuovi modelli e competenze di settore. Non potranno limitarsi a replicare i modelli utilizzati nel proprio mercato interno, che ha una struttura di costi completamente diversa. I CEO in Cina dedicano inoltre molte più energie a sviluppare nuove competenze e capacità rispetto ai loro colleghi occidentali. Nell’America settentrionale, che si è scontrata con una crisi finanziaria che ha portato i governi a diventare i principali stakeholder nell’impresa privata, i CEO sono più diffidenti verso il “big government” dei CEO di altre regioni. Un buon 87% prevede un maggiore intervento e una maggiore regolamentazione statale nei prossimi cinque anni, il che aggrava il senso di incertezza. In Giappone, il 74% dei CEO prevede che lo spostamento della potenza economica dai mercati maturi ai mercati in rapido sviluppo avrà un impatto sostanziale sulla loro organizzazione. Viceversa, l’Unione Europea è meno preoccupata di questo cambiamento: qui infatti solo il 43% di CEO prevede un impatto. Ma chi “gestisce” la creatività in azienda? Mancando il ruolo di un possibile “creative manager” Angelo Crippa chiama in causa la necessità di un aggiornamento continuo per l’amministratore delegato e il top manager e chiunque abbia compiti di pianificazione. “Sarebbe auspicabile un’apertura delle imprese verso realtà che lavorano sull’innovazione, quali IBM ad esempio, in grado di fornire i giusti strumenti creati ad hoc per loro. Non dimentichiamoci che nei laboratori di ricerricerca di IBM lavorano ben sei premi Nobel; ci sono eccellenze che possono e devono essere usate. Per il futuro andremo verso un’estrema competitività su questi temi con l’obiettivo di creare nuovi modelli di business, mai visti prima”. Nuovi mercati, nuovi attori e nuovi modelli di business quindi, il tutto legato dal fattore creatività quale strumento per vincere le nuove sfide.

Testo di Laura di Teodoro