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Il Made in Italy a caccia di Europa

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La guerra commerciale che si profila tra Stati Uniti ed UE potrebbe avere una prima vittima nella produzione italiana del vino e del cibo made in italy. Tutto nasce dalla decisione di Donald Trump di ampliare i dazi su acciaio ed alluminio nell’ UE, fatto questo che accenderebbe una reazione a catena rischiando di danneggiare significativamente anche tutto il comparto dell’agricolture e degli alimenti del continente europeo. Basta pensare che i vini italiani hanno un peso pari al 35 % sul totale delle esportazioni della “tavola alimentare italiana” verso gli USA . A ruota del vino un altro must del made in italy è l’olio d’oliva, seguito dai derivati del latte, acqua e bevande analcoliche e dalla immancabile pasta. In caso di dazi le nostre esportazioni diventerebbero meno competitive rispetto all’Australia, Cile, Nuova Zelanda, paesi non toccati dalle rappresaglie di Trump. Circa l’acciaio e l’ alluminio, essi valgono solo il 3,8 % dell’Export con gli USA. Nel merito dopo una performance brillante nel 2017 con una crescita di 31 miliardi di euro dell’export dei beni, nonostante le incertezze, oggi si rilevano un mondo di opportunità per l’export italiano: le nostre esportazioni infatti continueranno ad avanzare quest’anno fino al 5,8 %, stimando nel 4,5 % il valore medio previsionale per il triennio 2019/20121.  Di fatto sappiamo che gli investimenti sono ripartiti e che gli accordi commerciali della UE permetteranno di avere uno sguardo a 360 gradi sia verso ovest dove si prediligeranno Canada, Messico e Mercussur; sia ad Est verso Giappone, India ed Asean. Il made in Italy continua ad orientarsi verso comparti a più alto valore aggiunto, con una diminuzione più che proporzionale relativa alla concorrenza sul prezzo. Per molti prodotti si vede che il valore percepito del made in Italy supera di gran lunga il fattore prezzo anche in aumento a causa dei dazi. Pongo l’attenzione sul fatto che, negli ultimi sette anni, la voce export ha fornito l’UNICO apporto positivo alla crescita del nostro paese: senza il contributo monetario dell’export il PIL italiano sarebbe inferiore di almeno 6 punti percentuali! Senza dubbio una fonte di incertezza è data dagli effetti reali del protezionismo che va ad influenzare il cambio euro/dollaro e consequenzialmente l’evoluzione finanziaria delle catene globali del valore. Si deduce quindi quale incognita sia l’andamento del cambio euro/dollaro; ciò anche se al momento non sembra preoccupare fintantoché non si raggiunga la soglia del “POINT BREAK” pari al 1,30. Superato tale valore la competitività di prezzo peserebbe più che proporzionalmente sui nostri beni. Prima accennavo alla evoluzione delle catene globali del valore che a mio parere appare molto incerta, ciò soprattutto per il ritorno alla ribalta delle politiche di “import substitution” che attraverso i programmi “make in” posti in essere dalla Cina, dall’India e dagli Stati Uniti, porteranno siffatti mercati a domandare più macchinari specifici confermandosi quindi come paesi prioritari per l’export in generale. Nel dettaglio i continenti trainanti nell’export italiano nel 2017 sono state l’Europa emergente, le Americhe e l’Asia: tali location continueranno a primeggiare anche nel 2018 con un atteso recupero anche per il Brasile e la Russia. Le vie dell’Export dipendono molto dal gap da colmare sulle infrastrutture soprattutto dedicate al trasporto marittimo che di fatto rappresenta il secondo vettore delle esportazioni italiane dopo quello su terra soprattutto verso i mercati extra UE. Bisogna focalizzarsi sul fatto che per un economia come quella italiana, che basa più del 30 % del proprio PIL sull’export, il fatto di investire su infrastrutture di trasporto è condizione indispensabile per alzare il grado di competitività. Un ultima attenzione sui settori che contribuiscono in maniera più che rilevante alla crescita dell’export e che continueranno anche in questo clima odierno di guerra commerciali: si segnalano i bum degli articoli farmaceutici, chimico / medicinali con un più del 25,9%, metalli base e prodotti in metallo per un più del 17,1%, prodotti chimici più 18,4%, prodotti altri attività manifatturiere più 13,4%, prodotti alimentari e bevande più 12,8%. Infine segnalo che solamente un terzo delle aziende italiane esporta  usando il marchio “made in Italy”: tra queste le imprese tessili, della moda ed alimentari. Anche nel mondo digitale di fatto lo spazio per il made in italy, potrebbe essere molto rilevante, portando nei prossimi anni un incremento ulteriore alla crescita del nostro export.
 
Articolo di Fabio Accinelli