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Investire con successo negli Emirati Arabi

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Come condurre al meglio il proprio business cogliendo le giuste opportunità distinguendo tra miraggio e realtà: alcuni consigli per investimenti alla corretta portata degli imprenditori 

Miraggio o realtà? È spesso questa la domanda che si pone chi arriva negli Emirati Arabi: nazione di recente formazione, frutto di alchimie politiche e geografiche. Gli Emirati Arabi attraggono imprenditori di vario genere richiamati dal boom economico di questi ultimi anni. E neppure la recente crisi, che ha portato certamente ad una contrazione delle grandi opere e ad una riduzione dei valori immobiliari, pare comunque capace di rallenatre questo processo di crescita continua. Gli emiri hanno infatti il principale obiettivo di attirare danaro estero e facendolo confluire in un sitema bancario evoluto e capace, oramai, di gestire ogni operazione finanziaria di sorta. Le vicende americane, prima l’attentato alle Torri e poi la crisi finanziaria, hanno infatti obbligato gli emiri a gestire i propri patrimoni, che venivano inizialmente portati nelle banche USA e inglesi, in banche locali create dagli stessi millionaire locali.

E’ in questo contesto di manifesta opulenza, dove il danaro serve a creare un nuovo mondo ricco per “ricchi”, che le imprese italiane, già ben presenti nel territorio, possono avere grandi opportunità. Dove la realtà e il miraggio si confondono, l’imprenditore trova spazi aperti per il suo business. Ma come condurre il proprio business in un territorio così lontano, geograficamente e culturalmente, da noi? Non vi sono certo limitazioni particolari a chi vuole condurre affari “one–shot” negli Emirati Arabi. Accordi di fornitura e di prestazione di servizi vengono facilmente conclusi con logiche di business e contratti che rispondono ai soliti canoni internazionali. Meglio comunque operare con la giusta cautela: le lettere di credito diventano lo strumento ideale per avere certezza del pagamento. Importante poi che la lettera di credito sia confermata dalla banca primaria europea, prima che vicende anomale locali blocchino il pagamento da parte della banca degli Emirati.

Più complesso e singolare, invece, operare localmente con una “stabile organizzazione”. E’ peraltro questo il modello preferito e richiesto fortemente dai businessmen locali i quali, sempre più insistentemente, vogliono operare con chi è realmente nel loro territorio. E così è sempre più frequente la richiesta all’imprenditore europeo e americano di creare la “propria” società negli Emirati come condizione necessaria del business. “No company, no business”. E allora, in tal caso, occorre fare i conti con la legge locale. In particolare, occorre fare riferimento alla Federal law Company no. 8 del 1984 più volte modificata. Questa legge consente allo straniero di aprire una società di capitali, a responsabilità limitata, negli Emirati Arabi a condizione che la maggioranza delle “shares“ appartenga a cittadini degli Emirati e che la maggioranza dei “directors” sia di cittadinanza degli Emirati.

La legge locale vuole infatti che la società di capitale sia controllata e diretta da propri cittadini. In un Paese a base monarchica, questo sistema consente il controllo sul business ed evita che il Paese diventi di proprietà dello straniero. Tale modello potrebbe certamente preoccupare. Capita allora spesso che i rapporti tra gli “shareholders” vengano minuziosamente regolati da un “shareholders’ agreement” che regola i rapporti tra gli azionisti ed individua il vero centro di comando. Sono accordi che non avranno comunque mai validità negli Emirati e che per questo sono regolati da una legge straniera (inglese) e soggetti a giurisdizione straniera (arbitrato a Londra). Viene così garantito il rispetto della legge locale ma, nel contempo, si dà una rigorosa disciplina tra coloro che posseggono la società in modo che la proprietà e la direzione della stessa vengano chiaramente riconosciuti e regolati nei rapporti “inter partes”.

La costituzione di una società a maggioranza “locale” trova spesso l’imprenditore poco preparato (o molto preoccupato). Una soluzione alternativa è l’apertura di una “branch”. Sarà necessario, in tal caso, avere uno sponsor che presenti l’imprenditore e la sua branch alle istituzioni pubbliche locali e gli consenta così di avere le licenze necessarie per lavorare negli Emirati. Quindi viene escluso qualsivoglia coinvolgimento del cittadino locale nella struttura “corporate”, dal momento che questo si limita ad aiutare la branch ad ottenere permessi e licenze dietro eventuale obolo di riconoscimento. La costituzione di una “branch” è la soluzione più praticata, in quanto l’imprenditore crea una realtà che gli appartiene e che controlla totalmente. Di tutta evidenza, però, la “branch” è la casa madre nel territorio degli Emirati Arabi. Con la conseguenza che debiti e liabilities della “branch” saranno debiti e liabilities della casa madre.

Un contenzioso locale contro la “branch” sarà un contenzioso locale contro la casa madre, con il rischio, per nulla teorico, che la sentenza dei tribunali locali possa avere efficacia e validità anche in Italia. A fronte quindi di una soluzione apparentemente semplice, sta quindi il rischio di un coinvolgimento pesante della casa madre italiana con conseguenze inattese. Lo schermo della società a responsabilità limitata non esiste e allora la branch dovrà avere particolare accortezza nel business e nella contrattualistica di supporto. Prevedere l’applicazione di un arbitrato estero per il caso di controversie, sarà così regola fondamentale. La Convenzione di New York sull’arbitrato estero è stata riconosciuta negli Emirati e quindi non vi è motivo che la controparte rifiuti un arbitrato estero come clausola di soluzione delle controversie. Proprio per evitare che regole ferree inducessero l’imprenditore estero a vedere con diffidenza il mercato locale, gli Emirati hanno creato numerose free zones caraterizzate non solo dal fatto che sono tax free (in quanto anche gli Emirati di fatto lo sono) quanto perchè consentono all’imprenditore estero di costituire una società da lui posseduta e controllata interamente.

Non sarà necessario avere partners e directors locali. Nelle free zones è possibile creare una società locale 100% di proprietà estera. Anche in tal caso servirà poi ottenere le licenze per lavorare negli Emirati, ovvero, molto più semplicemente, avere un “exclusive local agent”. Le free zones sono state create innanzitutto per consentire all’imprenditore estero di avere una struttura locale per poter poi esportare e “doing business abroad”. Per questo le free zones sono aree dotate di una logistica importante (meglio che in altre parti del Paese) per consentire la produzione e movimentazione delle merci. Famose sono quelle nelle aree portuali Jebel Ali e dell’aeroporto internazionale. In tal modo si è così negli Emirati senza dovere essere necessariamente soggetti alle regola corporate del Paese, ma potendovi comunque lavorare (purchè si abbia un agent). Insomma, grandi occasioni per un’avventura da condurre con la giusta attenzione.

Testo di Ivan Mazzoleni, avvocato, International Business Lawyer