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Economia/Imprese

Cosa compriamo quando acquistiamo un prodotto?

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Tutti sostengono che il mondo del lavoro stia cambiando: nulla di più vero, ma come e perché? Il cambiamento ha radici economiche profonde che si fondano sull’evoluzione delle motivazioni d’acquisto, sui metodi d’offerta, sulle aspettative del pubblico e sulla natura stessa dei prodotti. Mia madre era in grado di riconoscere al tatto se un tessuto era misto lino, lino o cotone e ne sapeva anche indicare la qualità.

Questa analisi ne determinava il valore e mia madre era in grado, in qualche modo, di figurarsi un prezzo per il quale poteva o meno essere conveniente acquistarlo. Il bene, la roba, era fatta di consistenza materiale e il valore stava in questa più o meno pregiata materia. Possedere abilità di valutazione e di discerni-mento dei beni materiali che si acquistavano faceva la differenza nelle scelte.

Fino alla prima crisi petrolifera, nel mondo occidentale, abbiamo assistito ad una economia orientata soprattutto a soddisfare bisogni materiali. La grande maggioranza della popolazione ambiva a migliorare il proprio tenore materiale di vita che identifi cava con la casa, la macchina, l’elettrodomestico o la televisione.

Eravamo di fronte a un mercato di domanda e l’imperativo categorico era quello di produrre, il compratore si sarebbe trovato comunque.  In particolare, come ci ricorda il professor Helpman di Harward1 , “Il secondo conflitto è stato seguito dall’ “età dell’oro” della crescita economica, un periodo di rapida espansione che mai si era verificato in precedenza nella storia e che è durato fino agli inizi degli anni settanta. Da quel periodo, progressivamente, il potere è passato dalle mani del produttore a quelle del consumatore. Il problema non era più la carenza di beni da acquistare, ma tenere viva la domanda.

Parallelamente si sono cominciati a sentire i primi segnali di saturazione del mercato in molti settori. L’offerta ha quindi reagito alla crisi della domanda moltiplicando da una parte i servizi e dall’altra accelerando il rinnovamento dei prodotti sia sotto il profi lo tecnologico che sotto quello estetico. Si è passati dalla prevalenza del soddisfacimento di beni materiali alla prevalenza del soddisfacimento di beni immateriali.

Da qui deriva la continua necessità di innovare, di inventare nuovi bisogni, nuovi oggetti, di trasformare, agli occhi del consumatore,  anche il prodotto materiale più banale in qualcosa di unico e di originale che ne giustifichi un prezzo più alto. Questo appare oggi il solo modo per sostenere la domanda.  Gli operatori della conoscenza, i knowledge worker, il quinto stato, sono i nuovi alchimisti che sono in grado di effettuare questo miracolo trasformando in oro la materia più vile.

Sono loro che hanno il compito di produrre idee, di sviluppare progetti in grado di aprire nuovi mercati o di rivisitare, attraverso la comunicazione e la ricerca di tipo estetico, i nostri prodotti di sempre in qualcosa di desiderabile per la loro bellezza o per il significato che rappresentano di fronte agli altri.

Questa classe emergente di lavoratori è molto numerosa e una recente ricerca ha calcolato che in Italia rappresenta oltre il 41% dei lavoratori attivi. Si tratta di una classe trasversale che ritroviamo tra dipendenti, imprenditori, partite iva e professionisti. Né potrebbe essere altrimenti. Come potremmo mantenere il nostro tenore di vita se contassimo di fondare le nostre fortune su pro-dotti a basso valore aggiunto, che subiscono la concorrenza di paesi in grado di realizzarli ad un costo molto più basso!

Facciamo un esempio che ben mette in luce il fenomeno. Il dipartimento del lavoro USA ha stimato che, nella produzione di un microprocessore, il 3% del valore è rappresentato dalle materie prime e dall’energia, il 5% è assorbito dai proprietari delle attrezzature e dei macchinari, il 6% va agli operai e il restante 85% circa serve per sostenere i costi di ricerca e sviluppo, marketing, licenze, royalties sui brevetti, ecc.

In buona sostanza la stragrande maggioranza del valore del microprocessore serve a remunerare le attività svolte dai knowledge worker. Certamente quello del microprocessore è un caso estremo sul fronte della tecnologia, ma altrettanto potremmo dire di un vestito fi rmato da Valentino. Quanto incide in questo caso il marchio, il gusto, l’immagine della casa di moda sul costo del prodotto? Quanto spende Valentino in esperti di moda, di comunicazione di pubbliche relazioni o per sfilate in tutto il mondo? E quanto incide invece, sul costo del prodotto, il tessuto e la materiale attività di confezionamento?

Ecco perché nella nostra società le cono-scenze che applicava mia madre nel saper riconoscere le varie tipologie di tessuto lasciano il tempo che trovano. Siamo convinti di acquistare beni materiali, vestiti, scarpe, telefoni, computer ma in realtà acquistiamo cose immateriali: conoscenza, intelligenza, immagine, auto gratificazione, gusto e tecnologia. Per questo chiamiamo la società in cui viviamo e lavoriamo “società della conoscenza”, perché la ricchezza è in minima parte prodotta dalla tradizionale combinazione di capitale e lavoro e, in massima parte, dalle conoscenze, dal gusto, dalla tecnologia e dall’immagine che nei prodotti sono trasfusi.Per questo quando compriamo un telefono compriamo in realtà, in massima parte, il prodotto immateriale fabbricato degli operatori della conoscenza.

A cura di Angelo Pasquarella – Amministratore Delegato di Projectland