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Economia/Imprese

Come farsi comprare all’estero

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In un momento di forte stagnazione del mercato interno il tema dell’internazionalizzazione si è imposto all’attenzione delle PMI italiane quale opportunità concreta per il loro sviluppo.
In genere le nostre imprese, sulla carta, hanno un forte potenziale che possono esprimere nel diffondere i propri prodotti e servizi sui mercati esteri: si attrezzano, si impegnano, si organizzano, eppure si contano numerosi i casi di insuccesso. Perché? Quali sono i motivi?

La causa principale dei default aziendali nei confronti dell’approccio ai mercati esteri è l’ottica di breve periodo con la quale affrontano l’export. Altre ragioni sono: la limitata propensione al mercato, la carenza di strumenti e metodi appropriati e, in misura minore, l’inadeguatezza del rapporto qualità/prezzo del loro prodotto o la loro situazione finanziaria. È quanto emerge dall’indagine che Co.Mark ha presentato in occasione del forum “Come farsi comprare all’estero” tenutosi lo scorso ottobre al Kilometro Rosso. Realizzata su un campione rappresentativo di 600 aziende con classe di fatturato da 5 a 25 milioni di euro, l’indagine prende in esame le motivazioni principali che hanno portato al fallimento il loro progetto di “esportazione”.

La commercializzazione di un prodotto su un mercato estero è un obiettivo a medio/lungo periodo, ma spesso le aziende non concedono tempo. Si tratta di un’azione delicata che comprende passaggi importanti cha vanno da una scelta oculata dei mercati obiettivo ad una corretta individuazione dei canali di distribuzione ideali che garantiscano una copertura geografica dei mercati stessi. L’approccio all’export per una PMI è ormai diventato un passaggio obbligato che deve essere ricondotto a un vero e proprio investimento per la sopravvivenza dell’azienda.

Da anni i testi di marketing generico e internazionale parlano di orientamento al mercato ma poche sono le PMI che applicano questo concetto alla lettera. Serve maggiore reattività e adattabilità da parte degli imprenditori che non possono più imporre prodotti e condizioni ad un determinato mercato ma devono adeguarsi allo stesso cercando di essere i migliori fra i competitors presenti.
Importante in questo senso sottolineare il legame fra internazionalizzazione e innovazione tecnologica: internazionalizzarsi significa predisporsi bene all’innovazione tecnologica attraverso il continuo confronto con competitors globali e chi innova costantemente i propri prodotti riesce a commercializzarli meglio sui mercati esteri assicurandosi le giuste marginalità.

Alle nostre PMI mancano inoltre strumenti e organizzazione di supporto all’export. Un mercato estero si può definire “coperto”, commercialmente parlando, quando l’azienda è presente geograficamente in ogni canale potenzialmente adottabile e per ogni prodotto realizzato. Fiere, passaparola e altri canali tradizionali continuano ad essere una possibilità per fare export, ma oggi servono azioni di push (ricerca dei propri partner dove servono e con le caratteristiche che servono) e di pull (tecnologia web: SEO, SEM) proattive e innovative.

Altro fattore importante è il rapporto qualità/prezzo. Non bisogna pensare che sia un elemento fisso, bensì modificabile. In altre parole, se un mio competitor detiene un rapporto qualità/prezzo migliore devo cercare a tutti i costi di comprenderne i motivi (tecnologia obsoleta? prodotto obsoleto? cattivo controllo di gestione? mal gestione dell’acquisto di materie prime?) e trovare una soluzione per essere “migliore”.

C’è poi un ultimo elemento, ma non di secondaria importanza. Secondo i dati di Infocamere del 20/09/2012 le reti di impresa regolarmente registrate in Italia sono 117 che coinvolgono 560 imprese. Il 60% di queste reti ha come obiettivo anche quello di rafforzarsi sul mercato e il 20% di queste sui mercati esteri. Perchè una rete di impresa per la commercializzazione e l’internazionalizzazione funzioni deve avere precise caratteristiche: deve essere costituita da imprese di filiera o produttrici di beni complementari, ma soprattutto il gruppo deve essere costruito dal basso, dal canale distributivo potenziale che le aziende hanno in comune. Quindi la rete deve essere formata da imprese che sono legate fra loro per questo ultimo aspetto e non dall’appartenenza a un determinato territorio o associazione di categoria. Le reti di impresa, così come la singola azienda, devono adottare strumenti e metodi di approccio ai mercati esteri innovativi se non vogliono che lo scopo della loro aggregazione si riduca a una mera ripartizione dei costi.

Testo a cura di Massimo Lentsch, presidente di Co.Mark