“Se vuoi lavorare non venire in ufficio”
Inizia con questo articolo uno speciale a cura di Angelo Pasquarella, amministratore delegato di Projectland, dedicato ad alcuni paradossi dell’attuale situazione in Italia. Il primo è il Paradosso del Tempo.
É stato più volte osservato che all’operatore non si chiede più solo di essere preciso nell’esecuzione dei compiti, ma soprattutto di conseguire i risultati attesi. Questo principio è portato alle conseguenze più estreme soprattutto nelle aziende ad alta intensità di conoscenza. Sappiamo però che tutte le aziende, se vogliono sopravvivere, dovranno innovare e che l’innovazione passa attraverso la capacità di produrre idee e prototipi. La conseguenza è che anche imprese tipicamente industriali sono costrette ad aumentare l’impiego di capitale intellettuale in vista di un continuo processo di adattamento alla maggiore competitività nazionale e internazionale.
Aziende come Accenture e IBM sono recentemente arrivate ad imporre ai propri dipendenti il lavoro a casa per due giorni alla settimana, alleggerendo i costi e costringendo i collaboratori a comportamenti più autonomi e pianificati.
Nonostante ciò molte imprese stentano nell’adottare atteggiamenti flessibili sull’orario: si lavora solo se si è presenti.
Charles Handy riporta un divertente aneddoto che ci fa riflettere sul luogo e sul lavoro. “Mi trovavo con una giornalista di Atlanta. La sua scrivania era sommersa di carte, telefoni, computer con schermo e tastiera ed era collocata nel bel mezzo di un enorme locale, in cui altre duecento persone parlavano, scrivevano a macchina, telefonavano, fumavano. Non essendoci sedie disponibili, mi misi a sedere sulla scrivania. “Con tutto questo rumore non mi sarà facile parlare,” le dissi. “Non lavora mai a casa, nemmeno per brevi periodi di tempo?” abbozzò un mesto sorriso. “Mai. Potrei svolgere gran parte del lavoro da casa, senza dovermi spostare, lontano dalla confusione e da tutto questo rumore. In caso di necessità potrei venire in ufficio, in fondo tutto quello che mi serve è un telefono.” “E allora perché non lavora a casa?” “Perché non mi lasciano, “ disse, indicando il fondo della stanza dove sedevano, dietro grandi vetrate, i due vicedirettori. “Da là possono vedermi e rivolgersi a me sbraitando”.
Verrà il giorno in cui anche quei due vicedirettori capiranno che nessun ufficio, nemmeno la sala stampa, va concepito come una fabbrica e che è assurdo pagare l’affitto di tutto quello spazio nel centro di Atlanta per la soddisfazione di avere sott’occhio i dipendenti e rivolgersi loro sbraitando.
La presenza è necessaria nella produzione di beni materiali, che non possono che essere prodotti in un luogo materiale. Ci portiamo dietro radicati modelli mentali e siamo orientati comunque alla fisicità del luogo produttivo anche come espressione della fatica e delle sofferenze legate all’applicazione della gerarchia che, ai nostri occhi, appare giustificare il nostro reddito.
Per questo, nel lavoro postindustriale, anche quando non ve ne sarebbe bisogno, siamo istintivamente portati a doverci posizionare in un luogo deputato al lavoro, diverso da quello associato al concetto di riposo. Se lavoriamo a casa ci sembra di non aver lavorato.
Il modello mentale del posto è in noi ancora oggi tra i più radicati.