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Economia/Imprese

Il “Paradosso del Luogo” secondo Angelo Pasquarella

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Grazie alle nuove tecnologie e ai mezzi di comunicazioni oggi non è più necessario lavorare in ufficio. Molti sono i vantaggi del lavoro da casa ma nonostante questo molte aziende continuano ad organizzarsi in un luogo. Di questo paradosso abbiamo discusso con Angelo Pasquarella, amministratore delegato di Projectland

Lei sostiene che il manager oggi è costretto a gestire situazioni paradossali e che le aziende dovrebbero ingegnarsi ad adattarsi a una gestione d’impresa che in molti casi appare contraddittoria e sempre più lontana dalla passata cultura manageriale.
Le aziende stanno già cambiando. Pensi ad esempio come molte di loro stiano ripensando alla modalità con cui si svolgono le attività lavorative. Parecchie aziende di servizi ad esempio consentono, e qualche volta impongono, ai dipendenti di svolgere il lavoro da casa. In buona sostanza il cosiddetto posto di lavoro semplicemente non c’è più, almeno per qualche giorno alla settimana.

Ma intanto la gran parte delle imprese, anche di servizi, sono comunque organizzate in un luogo. Ci sarà un motivo…

La necessità di doversi recare in un luogo per svolgere la propria attività deriva dal mondo industriale e cioè fatto in modo che l’industria sia fondata, come dicono i libri, sulla “centralità della macchina”. L’opificio veniva costruito intorno alla macchina, che era il vero cuore della produzione, da qui la conseguenza di concentrare in un luogo le risorse umane necessarie a renderla attiva. Questa considerazione è ovviamente ancora valida quando occorre produrre o assemblare dei beni materiali. Venendo meno la materialità del prodotto, come nel caso dei servizi, si potrebbe pensare al venir meno dell’obbligo a riferirsi ad un luogo preciso.

Perché allora l’abitudine a consentire il lavoro a distanza in luoghi diversi dagli uffici non è molto diffusa?
Ci sono dei motivi pratici, ma anche un importante motivo psicologico. Cominciamo da quest’ultimo. La nostra “forma mentis”, formatasi soprattutto nell’ultimo secolo, viaggia ad una velocità inferiore rispetto all’evoluzione tecnologica e della produzione. Questo fenomeno viene chiamato dai sociologi “cultural gap” e impedisce alle persone di adeguare rapidamente il proprio modo di pensare ai cambiamenti che si verificano nella società e nell’economia. E’ così che anche se non appare logico, il mondo dei servizi si è  comunque ispirato al modello industriale costruendo grandi palazzoni pieni di persone.
Ci sono poi dei motivi pratici collegati a necessità di lavoro. Prendiamo ad esempio la necessità di localizzare l’attività al fine di incontrare il cliente nelle attività di front office o la scelta di trattare alcuni servizi in processi strutturati assimilabili a quelli degli opifici (sorta di lavorazioni a catena) adeguando ad essi il proprio comportamento.
Qualche volta però la necessità deriva da scelte legate ad un vecchio modo di pensare. Spesso ad esempio la scelta di quantificare il lavoro mediante il tempo o, soprattutto prima dell’avvento di Internet, l’esistenza di supporti materiali (fascicoli o documenti) sui quali sono rappresentate le informazioni o la collocazione degli strumenti necessari a trattare l’informazione (telefono, computer, ecc.). Queste modalità di lavoro sono in fase di rapida evoluzione.

Insomma siamo destinati a non andare più in ufficio…
Non è proprio così in quanto ci sarà sempre la necessità di avere momenti di riunione per condividere l’esito di attività, di azioni o pianificarne delle nuove. Il futuro della produzione, soprattutto immateriale, si delinea  come un sistema in cui il lavoro si svolgerà in parte in uffici della società in parte a casa o dove il lavoratore preferisce. Gli esempi sono ormai numerosi anche se riguardano soprattutto società straniere o multinazionali. Si pensi a IBM o Unilever o BMW, ecc. Il modello, appunto attraverso le multinazionali, si sta diffondendo anche in Italia.

Cosa frena ancora la piena applicazione di questo processo?
A parte il “cultural gap” di cui ho parlato sopra, ci sono

  • le resistenze del management, che necessariamente perde ruolo in un contesto non più gerarchico,
  • il fatto che le aziende stesse debbono attrezzarsi diversamente, devono cioè creare gli strumenti che consentano loro di lavorare non sulla base del tempo/presenza in ufficio, ma sulla base dei “risultati attesi” delle attività di ogni dipendente che possono essere svolte in ogni luogo.

Le assicuro che questa trasformazione è di natura epocale e non semplice da realizzare. Oggi la valutazione viene troppo spesso fatta attraverso l’osservazione dei comportamenti e non dei risultati conseguiti. E ciò semplicemente per mancanza degli strumenti adeguati. Può quindi essere più premiante come uno sia vestito o se rimane in ufficio mezz’ora in più piuttosto che quale sia il  valore del prodotto dal suo lavoro.

Testo a cura di Fabrizio Amadori