Costo del lavoro: il punto di partenza sono i neo-assunti
L’incentivazione dei contratti stabili è cominciata nel 2015 quando l’esecutivo, migliorando in tema di incentivi, ha introdotto la decontribuzione piena sui nuovi rapporti fissi: lo sgravio, per tutto l’anno precedente, è stato triennale e fino a un tetto di 8.060 euro l’anno. Solo nel 2015 sono stati approvati (tra nuovi rapporti e conversione di contratti a termine) quasi 1,5 milioni di contratti e sono stati spesi circa due miliardi. Quest’anno, la decontribuzione è più accettabile e le imprese se ne sono accorte: nei primi tre mesi, secondo l’ultimo monitoraggio Inps, c’è stata una moderazione dei nuovi contratti fissi.Un aspetto sostanzialmente ripetuto anche dal ministro Poletti che ha rammentato che, per effetto del taglio dell’Ira lavoro, i contratti a tempo indeterminato costano il 5-6% in meno dei rapporti a termine. Considerando che sono differenti i dossier aperti sui tavoli di palazzo Chigi, MefeLavoro (dal taglio dell’Irpef, agli 80 euro per i pensionati al minimo) non può essere del tutto scartata l’opzione della nuova proroga, per un solo non, della decontribuzione, ancora più importante: si passerebbe da uno sgravio al 40% fino a 3.250 euro l’anno per due anni a un bonus al 20-25%, pari a mille -1.500 euro, per un solo anno, cioè il 2017. L’ostacolo più difficile da superare rimane quello delle compatibilità finanziarie, anche perché il Governo dovrà rispettare gli incarichi appena concordati con Bruxelles sul terreno della finanza pubblica, in primis quello di non far incrementare il rapporto deficit/Pil nel 2017 oltre la quota dell’1,8%. Anche per questo motivo l’attenzione dei tecnici è stata indirizzata sull’alternativa taglio iniziale del cuneo solo sui nuovi contratti a tempo indeterminato. La diminuzione di ogni punto del costo del lavoro per tutti i dipendenti stabili costerebbe all’incirca 2 miliardi, visto che sarà necessario “fiscalizzare” il taglio per evitare penalizzazioni in busta paga e sulle rendite pensionistiche future. Tuttavia, in quest’ultimo caso, si sta ancora valutando l’opportunità di equilibrare almeno in parte la minore copertura previdenziale con un provvedimento per rendere, di fatto, obbligatoria l’adesione alle forme complementari.Tuttavia, a spingere l’esecutivo ad intervenire scrupolosamente sul capitolo costo del lavoro sono stati i principali organismi economici internazionali, per ultimo in ordine tempo, l’Fmi che ha chiesto all’Italia anche di accelerare nella riforma dei contratti per ottimizzare il secondo livello incentrato sull’aumento di produttività e competitività delle imprese. D’altronde la decisione definitiva sul dossier non sarà presa prima di settembre, quando il Governo eseguirà le scelte per la composizione della successiva legge di Stabilità. Tuttavia a comprovare l’intento di agire immediatamente per diminuire in via strutturale il costo del lavoro stabile è stato ieri lo stesso premier Matteo Renzi, dopo che già in mattinata il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva annunciato che la “questione cuneo” era entrata con estremo vigore nell’agenda del confronto con i sindacati. Il taglio dei contributi previdenziali si aggirerebbe tra i 4 e i 6 punti per un costo iniziale stimato tra i 1.5 miliardi (250 milioni a punto). La copertura avrebbe origine da una spending review in versione rafforzata e dalle risorse che verrebbero messe a disposizione a causa dell’attuazione della riforma del Bilancio dello Stato. Quest’ultima diventerà completamente operativa a partire dal prossimo autunno. A completare la dote sarebbe una parte delle risorse che arriveranno dalla nuove misure di contrasto dell’evasione fiscale, avendo come punto di partenza quella che interesserà l’Iva. Partire dai soli neo-assunti a tempo indeterminato, con l’obiettivo finale di ridurre il cuneo a tutto il lavoro stabile (vecchi e nuovi assunti) è un procedimento a due step quello che starebbero valutando i tecnici della cabina di regia economica di palazzo Chigi, sotto la supervisione del sottosegretario Tommaso Nannicini.