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Economia/Imprese

Anche nella crisi l’eccellenza paga bene

Le migliori PMI dal 2010 al 2014 hanno visto crescere il valore della produzione del 13%. E il 52% è già all’estero.
Come si misura l’eccellenza imprenditoriale? Possibile tracciare l’identikit delle aziende virtuose? Ci ha provato Global Society con il suo Osservatorio PMI attraverso il quale ha individuato circa 7.100 aziende che registrano un valore della produzione tra i 20 e 250 milioni di euro.  Partendo da questo bacino di riferimento, l’osservatorio seleziona le imprese che negli ultimi cinque anni hanno superato la media del loro specifico settore in oltre 10 parametri economico-finanziari e patrimoniale.

Il primo tratto distintivo dell’eccellenza è la produzione: le migliori PMI italiane sono quelle che nel quinquennio 2010/2014 sono state in grado da un lato di aumentarne il valore (media del +13,4%), dall’altro di abbassare il proprio indebitamento e far crescere il flusso di cassa. Non solo, il reddito operativo è salito, nello stesso periodo, a un tasso annuo del 32,9%. Ciò significa che la “fascia nobile delle piccole e medie imprese” è stata capace, a fronte di una domanda stabile, di aumentare significativamente le proprie quote di mercato rimanendo tra l’altro focalizzata nella propria area di business. Prova tangibile del fatto che una crescita solida e consolidata nel tempo è possibile anche in fasi di congiuntura economica globale sfavorevole.

Similitudini
Dall’analisi dell’Osservatorio, emergono i tratti comuni che si riscontrano in tutte le realtà che hanno fatto segnare in iter positivo in questo periodo complesso: investimenti importanti e in crescita rispetto al passato soprattutto per quel che concerne lo sviluppo della gamma di prodotti e servizi (53%), con la previsione di una crescita ulteriore nei prossimi tre anni, internazionalizzazione costante che avviene per il 55% in modalità diretta e strutturata attraverso filiali commerciali. Un cambiamento sostanziale dunque: un tempo per internazionalizzazione si intendeva andare a produrre fuori dall’Italia e quindi delocalizzare. Oggi il termine ha un significato più ampio, si pensa a un’internazionalizzazione complessiva delle risorse, delle tecnologie e dei capitali. Sul fronte dell’innovazione circa il 50% delle aziende intervistate ha richiesto la registrazione di brevetti (in media 11) nel corso della propria storia e mediamente le eccellenti investono in innovazione circa il 5% del proprio fatturato. Ma emergono anche limiti storici: solo il 30% collabora con università e solo il 6% con incubatori e startup, sintomo di un sistema innovativo che ancora deve crescere. Ma come si sfonda il tetto di cristallo della dimensione? Il 47% degli imprenditori ha dichiarato di essere disposto a valutare progetti di apertura del capitale per proseguire il proprio percorso di crescita. L’84% ritiene le operazioni di acquisizione un’opzione interessante come strategia per il rafforzamento competitivo.

Punti deboli
Restano poi, anche tra le eccellenze, alcuni difetti atavici delle nostre piccole e medie imprese, punti deboli che possono creare gap di crescita. L’85% di queste aziende è a conduzione familiare, ma il 42% di loro non ha ancora definito il passaggio generazionale. La governance è per la maggior parte formata da un consiglio di amministrazione composta da 3 membri azionisti della società e un professionista esterno. Per il 32% delle aziende eccellenti il passaggio è già stato effettuato, solo pianificato per il 26% e non ancora definito per circa il 42%. Un dato significativo se pensiamo che queste imprese sono al 41% possedute interamente da persone fisiche, mentre il restante 59% ha nella compagine azionaria persone giuridiche, di cui il 62% copre la carica di direttore generale, il 56% di direttore commerciale, mentre il 26% si occupa della produzione, sempre in qualità di direttore.

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