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Economia/Imprese

Gli italiani e il risparmio

Sembra proprio che l’Italia, dopo momenti bui, oggi  torni ad essere un paese di risparmiatori: la propensione al risparmio che, nel 2016 era al 9,6%, ad oggi è salita all’11%. Il risparmio, per dare valenti benefici al sistema economico nazionale dovrebbe però essere reinvestito e non tesaurizzato.
La somma totale del risparmio degli italiani è stata calcolata, da Banca di Italia, in 4.117 miliardi di euro che, in linea teorica, fosse suddiviso pro capite per i 60 milioni di abitanti, porterebbe ogni italiano ad avere un importo, in tasca di 68 mila euro. Ma questa è pura teoria! Nella realtà, vi sono 281 mila famiglie che dispongono di più di 1 milione di euro liquidi in tasca, dall’altra parte ve ne sono più di 5 milioni che non arrivano a 10 mila euro.

La situazione reale è particolare: mentre le quote di risparmio sono in aumento, la ripresa economica, se andrà bene, è contenuta in un misero 0,8 %. Dato allarmante in rapporto a tutti gli altri paese europei, tranne Grecia e Spagna ed a distanza luce dalle economie USA, Cina ed India. Permane sempre un pessimismo di fondo che sfiora l’86% dei cittadini italiani e gli stessi, per il 54%, sono sfiduciati e non credono più dell’Unione Europea. I dati della Banca di Italia documentano che la ricchezza, come detto pari a 4.117 miliardi di euro, è ripartita per 1.100 miliardi in depositi bancari , 456 miliardi fondi comuni, 957 miliardi azioni italiane ed estere, 864 miliardi in fondi pensioni ed assicurazioni, 442 miliardi in obbligazioni delle quali 131,5 debito pubblico e 117 bancarie, 297 miliardi in c/c postali e contante. A fare due conti, premesso che il debito pubblico ad oggi si avvicina ai 2250 miliardi di euro, ove il nostro Stato dovesse fallire, a pagare di tasca propria i debiti dello stesso sarebbero i cittadini e le banche che, insieme, detengono poco meno del 75% dei titoli pubblici.

Un’ultima analisi ci permette di vedere come non è ben chiaro, agli italiani, la differenza tra risparmio ed investimento. Infatti il 20% delle disponibilità possedute dai risparmiatori è ancora detenuto sui conti correnti, soluzione che non mette più al riparo da nessun rischio: ciò perché con un tasso di inflazione atteso contenuto in una forbice 1,5-2% vi è una erosione reale del capitale pari al 5% in tre anni e dell’8% in 5 anni. Personalmente ritengo che lo strumento del fondo comune di investimento possa dare reali vantaggi economici all’investitore. Vi è una tutela legale avanzata, perché il patrimonio del fondo risulta essere ben distinto sia da quello dell’emittente dello stesso che dal suo reale gestore. Non va, inoltre, dimenticato che si tratta di uno strumento di facile accessibilità per tutti, tanto che lo si può sottoscrivere a partire da poche migliaia di euro. In ultimo, ma non per importanza, il fondo permette, de facto, una maggiore diversificazione perché il portafoglio a cui esso accede è di per se frazionato ed ha più classi di attivo, cosa impensabile ed impossibile da compiere da parte del singolo risparmiatore che ha a disposizione per l’investimento piccole quote di denaro. Non va dimenticato neppure l’estrema trasparenza di tale strumento finanziario, ove la quota del fondo è pubblicata giornalmente e la stessa ha una estrema facilità di liquidabilità: il portatore può uscire e vendere la propria quota quotidianamente ricevendone l’ accredito del proprio capitale in non più di qualche giorno.

Articolo di Fabio Accinelli