Nomadi digitali: come gestire le finanze all’estero?

La pandemia ha accelerato un cambiamento nel mondo del lavoro che era già in atto, portando a una svolta nel modo di lavorare del futuro, senza confini fisici, orari prestabiliti e barriere temporali di cui sono diventati pionieri i nomadi digitali, freelance, imprenditori e lavoratori subordinati con professionalità e background culturali molto differenti tra loro che hanno abbracciato il lavoro a distanza come scelta di vita, utilizzando la tecnologia per guadagnarsi da vivere. Grazie al lavoro da remoto, i nuovi lavoratori digitali hanno la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo, conoscere culture lontane e crescere in modo esponenziale a livello personale, rispetto a chi invece lavora e vive mettendo radici in un posto solo per per gran parte della propria vita. Sono i giovani, in particolare i Millennials, quelli più attratti da questa prospettiva. Un cambio di rotta che però comporta non poche sfide. Occorre innanzitutto saper abbracciare la vita da freelance, destreggiarsi fra una gestione del tempo ed una routine quotidiana scandita da ritmi organizzati dalla propria volontà, e soprattutto, imparare a gestire la propria contabilità personale.
“La gestione delle risorse finanziarie è una delle più grandi preoccupazioni di tutti coloro che non hanno un lavoro da dipendenti. Per iniziare una nuova professione da nomadi digitali, soprattutto all’estero, è fondamentale gestire al meglio la propria contabilità personale e conoscere ed utilizzare alcune accortezze fondamentali per conciliare lavoro e piacere del viaggio” – afferma Gianluca Sidoti, Consulente Finanziario Indipendente e CEO di TraDetector, società di formazione e divulgazione finanziaria che comprende una community di oltre 700 investitori che replicano autonomamente varie operatività da ogni parte del mondo, gestendo il proprio denaro semplicemente attraverso l’home banking.
Per supportare nomadi digitali e aspiranti tali nel mettere in atto un piano organizzativo, Gianluca Sidoti ha stilato una lista di consigli pratici per lavorare da remoto mentre si gira il mondo, tenendo sempre sotto controllo il proprio bilancio personale.
– Organizzarsi per tempo (lavoro, casa, sanità, istruzione, welfare).
Oltre al lavoro, ci sono altri 3 aspetti da considerare prima di trasferirsi: sanità, istruzione e welfare. Il Paese in cui si deciderà di vivere, ha un buon sistema sanitario? É gratuito o serve un’assicurazione? Ad esempio, negli Stati Uniti il sistema sanitario è completamente privato (e molto costoso). Lo stesso vale negli Emirati Arabi, però in questo caso, con un’assicurazione di 2000€ l’anno, si ha un’ottima copertura sanitaria.
Un altro aspetto importante è quello legato all’istruzione: si hanno figli? Se si, quanto sarà difficile per loro ambientarsi? E soprattutto, le scuole sono a pagamento?
Ultima, ma non meno importante, è la macrocategoria del welfare, in cui rientrano non solo le pensioni (il lavoro che si farà consentirà di accumulare contributi previdenziali?), ma anche tutto ciò che concerne gli aiuti dello Stato ai cittadini, ossia contributi per l’avvio dell’attività, bonus famigliari vari, decontribuzioni ecc. E’ importante quindi considerare anche le conseguenze a lungo termine della nuova vita da nomade digitale.
– Banca e risparmi.
Una volta arrivati nel Paese straniero, una delle prime cose da fare è aprire un conto corrente in valuta locale. Il più delle volte, le banche richiederanno una prova di stipendio o, comunque, si dovrà dimostrare di avere la capacità economica per la sussistenza. Il consiglio è quello di fare una breve ricerca e tendere a prediligere gli istituti finanziari più grandi, che spesso coincidono con i nomi dei grandi gruppi bancari mondiali (HSBC, Citibank, Barclays, Unicredit).
Un altro consiglio è quello di mantenere il conto italiano aperto il più tempo possibile, in modo tale da avere a disposizione in ogni momento un secondo conto per le spese quotidiane.
Inoltre, almeno all’inizio, sarebbe opportuno evitare le carte di credito: si può sopravvivere benissimo con un bancomat, per via dei costi nascosti, soprattutto in Paesi poco trasparenti (in genere extra UE e USA).
L’ultimo suggerimento riguarda il cambio valutario: attenzione dunque alle commissioni delle banche. Contrariamente a quanto si crede, la scelta migliore per cambiare euro in valuta locale è quella di affidarsi non alla banca italiana, né alla banca locale, bensì a servizi specializzati in cambio valuta, come Transferwise.
– Investimenti.
Iniziare ad investire dovrebbe essere la prerogativa di chiunque si affacci al mondo del lavoro, non solo chi si trasferisce. In questo caso, è opportuno crearsi dei documenti in cui annotare spese e incassi mensili, una sorta di bilancio personale, così da essere sempre a conoscenza della propria situazione finanziaria. Da ricordare che, non essendo in Italia, se si finiscono i risparmi personali, difficilmente si può trovare un amico pronto a fare un prestito. Quando si sa qual è la capacità di risparmio, è utile dividere la cifra in due: una parte si andrà in un “Conto Emergenze”, un’altra sarà utilizzata per gli investimenti di lungo termine, quindi ETF, fondi, azioni, non Forex e derivati strani difficili da comprendere e gestire).
Se poi il Paese in cui si andrà a vivere non prevede il versamento di contributi previdenziali, sarebbe opportuno avviare un Piano di Accumulo di Capitale: ogni mese, è necessario mettere da parte qualcosa che si utilizzerà per acquistare fondi a basso costo e alto rendimento, penso agli ETF, per creare un tesoretto essenziale a vivere anche quando si smetterà di lavorare.
– Conto Emergenze.
E’ fondamentale avere uno o più conti per le emergenze. Si tratta di una sorta di conto deposito, in cui versare una cifra tale da permettere di vivere senza lavorare per almeno 6-12 mesi, considerando le spese necessarie per vivere nel Paese in cui ci si sposta. La scelta migliore è quella di aprire un conto prepagato online. Se si è in Europa, si può optare per N26, Revolut, Monese e molti altri. Se si è fuori dall’Europa, spesso le banche offrono conti “smart” come quelli appena citati. Una volta aperto il conto, è opportuno solo versare, mai prelevare, a meno che, ovviamente, non si tratti di un’emergenza.
– Mettersi a posto con il fisco.
Una volta che ci si trasferisce e, soprattutto, si decide che si passeranno più di 183 giorni l’anno fuori dall’Italia, è obbligatorio, per legge, iscriversi all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Questo perché il nostro Paese vuole sapere dove vivono i suoi cittadini, non solo per motivi fiscali, ma anche per questioni burocratiche: se dovesse succedere qualcosa (morte, arresto, ospedalizzazione), l’ambasciata italiana verrà in soccorso. Questo quindi è un passaggio di fondamentale importanza.
Inoltre, una volta trasferitosi, il lavoratore non sarà più tenuto a pagare tasse in Italia, a meno che non si abbiano ancora interessi nel nostro Paese (immobili, quote societarie italiane, obbligazioni ecc.): in questo caso si dovrà comunque presentare la dichiarazione dei redditi in Italia.
– Conteggio giorni per la residenza fiscale.
Per essere residente in Italia è necessario soggiornare nel Bel Paese per più di 183 giorni l’anno, anche non consecutivi. E’ importante sapere che non funziona così ovunque. In alcuni Paesi extra UE, per ottenere la residenza bastano pochi giorni di soggiorno l’anno (come ad esempio gli Emirati Arabi Uniti) e ciò accade addirittura in qualche Paese europeo, come Cipro, in cui è sufficiente vivere nel Paese per appena 90 giorni l’anno per essere considerato residente cipriota.
Fermo restando che è opportuno affidarsi a un buon fiscalista esperto di giurisdizioni estere (non il proprio commercialista, quindi), conoscere queste informazioni consente effettivamente di vivere come un vero e proprio “Nomade Digitale”, lavorando ad esempio in smart working dai Caraibi per 9 mesi l’anno, ma essendo ufficialmente residente in un Paese come Cipro e godere di tutti i benefici che ne conseguono.