La tutela dell’esportatore negli Stati Uniti
Vademecum sui rapporti commerciali tra Italia e Usa. Cosa è bene sapere per esportare prodotti Oltreoceano: leggi, norme, contratti e controversie
testo di Maurizio Gardenal e Christian Montana Avvocati dello Studio Gardenal & Associati
Nei rapporti commerciali tra Italia e Usa, la principale disciplina è costituita dalla Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili. Nei casi di vendita di merce da un esportatore con sede in Italia ad un acquirente con sede negli Usa la Convenzione di Vienna si applicherà “automaticamente” nel caso in cui manchi un qualsiasi contratto scritto tra venditore e compratore e che vi sia un contratto, ma senza riferimento alla legge applicabile. Se invece il contratto dispone l’applicazione di una legge diversa, quest’ultima in genere troverà applicazione in luogo della Convenzione. Gli Usa dispongono di una loro disciplina “domestica” sulla vendita di merce, ovvero lo Uniform Commercial Code (o UCC). Si tratta di una normativa uniforme che è stata recepita da quasi tutti i singoli Stati (ad eccezione della Louisiana), con proprie leggi interne, le quali peraltro hanno talvolta introdotto proprie modifiche. Inoltre, poiché lo UCC non regola tutti gli aspetti che possono sorgere da un contratto di vendita, ogni Stato provvede autonomamente a colmarne le lacune. Di conseguenza, pare più appropriato affermare che ogni Stato dispone di una propria normativa interna sulla vendita di merce, modellata in gran parte sullo Uniform Commercial Code, ma del tutto autonoma. L’esportatore dovrebbe perciò tenere presente che, a seconda dello Stato americano in cui il compratore ha la propria sede, si potrebbero applicare normative diverse. Il modo migliore per determinare in modo certo la disciplina applicabile – spesso utile anche a prevenire ed evitare le liti – consiste nel concordarla preventivamente ed espressamente con il proprio partner commerciale.
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
È quanto mai opportuno preparare e sottoscrivere un contratto scritto di vendita, nel quale siano incluse: una clausola che stabilisca la legge applicabile e una clausola che stabilisca il foro competente, oppure l’arbitrato o altra modalità di risoluzione di eventuali controversie. Quanto alla legge applicabile le scelte possono essere varie: potrà farsi riferimento alla Convenzione di Vienna, al Codice Civile italiano, alla legge di uno Stato americano, alla legge di uno Stato “terzo”. Per stabilire quale sia la scelta migliore dal punto di vista dell’esportatore, occorre verificare tutte le circostanze che caratterizzano lo specifico rapporto commerciale. In via generale poiché la Convenzione di Vienna costituisce diritto “interno” sia in Italia che negli Usa, per escludere quest’ultima, dovrà essere precisato, ad esempio, che si applicherà il Codice Civile italiano, oppure lo Uniform Commercial Code, avendo cura di escludere esplicitamente l’applicabilità della Convenzione di Vienna. Un’apposita clausola contrattuale dovrebbe altresì regolare la giurisdizione competente in caso di controversie tra esportatore e acquirente, che potrà essere in linea di principio quella italiana, quella statunitense (o di uno specifico Stato americano) oppure quella di uno Stato terzo. In alternativa, va valutata l’opzione dell’arbitrato, eventualmente accompagnata da forme di alternative dispute resolution (come la mediazione), che potrebbero essere esperite preliminarmente alla procedura arbitrale, particolarmente efficaci qualora le parti siano disposte a raggiungere una risoluzione della controversia in via negoziale. Va rimarcato che la redazione della clausola arbitrale, così come la scelta dell’autorità arbitrale e della procedure più opportune, richiedono per la loro complessità competenze specifiche. In mancanza di qualsiasi scelta espressa delle parti, sarà l’autorità (giudiziaria o arbitrale) alla quale la controversia sarà stata sottoposta, a decidere caso per caso, in base al proprio diritto nazionale sia in merito alla propria competenza, sia relativamente alla legge applicabile al rapporto. Quanto a quest’ultimo aspetto, in linea generale ci si può attendere che venga riconosciuta l’applicabilità della Convenzione di Vienna (il che, purtroppo, non esclude necessariamente che un singolo caso possa essere deciso in modo diverso a seconda dell’autorità che lo giudica). Un criterio universalmente accettato è quello che riconosce la competenza a decidere di una controversia, al giudice dello Stato e del luogo in cui si trova il domicilio della parte convenuta in un giudizio. Naturalmente, oltre alla competenza “per territorio”, occorrerà avere presente anche ulteriori criteri (come, ad esempio, il valore e la tipologia della lite).
Garanzie del venditore
Una delle tematiche cruciali (in quanto fonte continua di contenzioso), è certamente quella delle garanzie del venditore, ovvero degli obblighi che l’esportatore deve osservare con riferimento alla merce venduta (ad esempio in termini di qualità e di conformità della merce) per evitare contestazioni da parte dell’acquirente. Strettamente connesso con questo tema, è quello della possibilità e dei limiti dell’introduzione di clausole a tutela dell’esportatore:
• le clausole di limitazione o esclusione della responsabilità
• quelle che prevedono obblighi di tempestiva contestazione dei difetti da parte dell’acquirente, a pena di decadenza Secondo la Convenzione di Vienna il venditore deve consegnare beni della quantità, qualità e tipo richiesti dal contratto e che siano disposti o imballati nel modo richiesto dal contratto.
La merce, pertanto, deve essere:
• idonea all’uso per il quale merce dello stesso tipo normalmente viene impiegata
• idonea ad un eventuale utilizzo specifico che il compratore abbia reso noto al venditore al momento della stipulazione del contratto
• conforme ad un campione o modello che sia stato eventualmente consegnato dal venditore al compratore
• imballata e confezionata nel modo pattuito, o comunque in maniera idonea Il venditore deve inoltre trasferire al compratore la proprietà della merce, e deve garantire che la merce stessa sia esente da diritti o pretese di terzi, ivi compresi diritti di proprietà industriale ed intellettuale. Lo Uniform Commercial Code, che prevede garanzie simili a quelle stabilite dalla Convenzione di Vienna, distingue:
• express warranties
• implied warranties Le express warranties nascono da qualsiasi affermazione, promessa, descrizione fatte espressamente dal venditore a proposito della merce venduta, oppure dalla consegna di un campione, di un modello o di un catalogo, sempre che su queste affermazioni o promesse, o sul modello consegnato, sia stata basata l’operazione commerciale. Va, per inciso, osservato che, a differenza della Convenzione di Vienna, lo UCC non ammette che contratti di vendita – o modifiche agli stessi – possano essere stipulati soltanto oralmente. Esistono infatti delle regole incompatibili con questa forma di contratto:
• lo statute of frauds (il quale prevede, in primo luogo, l’inefficacia di un contratto di vendita di merce di prezzo pari o superiore a 500$, che non sia quantomeno dimostrato da un documento scritto, firmato dalla parte contro la quale si intende far valere il contratto)
• l’obbligo di concordare in forma scritta ogni modifica al contratto
• la parol evidence rule (regola processuale, secondo la quale non è generalmente ammissibile la testimonianza orale in merito alle pattuizioni contrattuali e alle loro modifiche) Anche il Codice Civile italiano, peraltro, impone analoghe limitazioni alla prova testimoniale dei contratti. Le implied warranties, garanzie previste dalla legge a carico del venditore anche in assenza di specifica clausola contrattuale, sono le seguenti:
• garanzia che il venditore trasferisca al compratore la proprietà della merce senza vincoli a favore di terzi (warranty of title)
• garanzia che la merce non violi diritti di brevetto, marchio o altri diritti di proprietà industriale/intellettuale di terzi (warranty against infringement)
• garanzia che la merce sia commerciabile ed idonea all’utilizzo normale per merce medesima, nonché adeguatamente confezionata ed imballata (warranty of merchantability)
• garanzia che la merce sia idonea all’utilizzo specifico che il compratore abbia reso noto al venditore al momento della stipulazione del contratto (warranty of fi tness for a particular purpose). Il Codice Civile italiano, da parte sua, dispone le garanzie per vizi (ad esempio, difetti di fabbricazione) e per mancanza di qualità promesse ed essenziali e la garanzia che venga trasferita al compratore la proprietà della merce senza vincoli a favore di terzi. I suddetti regimi, pertanto, prevedono forme di garanzia sostanzialmente tra loro non dissimili. Alcune rilevanti differenze, per contro, sussistono tra la Convenzione di Vienna e lo UCC con riferimento:
• alla possibilità (e ai limiti) di introduzione di clausole di esonero o limitazione di responsabilità da parte del venditore
• alla forma di tali patti
• alle condizioni per cui il compratore può contestare i difetti della merce ricevuta, e eventualmente risolvere il contratto (rifiutando legittimamente la merce acquistata). Sotto questi aspetti la Convenzione di Vienna pare tutelare maggiormente l’esportatore rispetto allo UCC.
Contestazione dei difetti
A differenza del Codice Civile italiano, che fissa in otto giorni il termine generale per la contestazione di eventuali mancanze di conformità della merce, sia la Convenzione di Vienna che lo Uniform Commercial Code consentono al compratore di contestare i difetti al venditore entro un “termine ragionevole” dalla loro scoperta. Questo criterio – ispirato da comprensibili ragioni di equilibrio tra le posizioni del venditore e del compratore – non fornisce sufficiente chiarezza circa i diritti e gli obblighi delle parti, e può quindi essere fonte di numerosi litigi. L’esportatore, a propria maggior tutela e per ovvie esigenze di certezza, dovrebbe indicare con un’apposita clausola contrattuale, un preciso termine temporale (normalmente, fissato in un certo numero di giorni dalla consegna della merce oppure dalla scoperta del difetto, a seconda della sua riconoscibilità o meno al momento della consegna) entro cui il compratore – a pena di decadenza da qualsiasi diritto ed azione – dovrebbe far pervenire la propria “denuncia” circostanziata. Questo accorgimento contrattuale è di norma consentito, sia che al contratto si applichi la Convenzione, sia nel caso di applicazione dello UCC. Qualora il contratto fosse sottoposto al Codice Civile italiano, le clausole di limitazione/ esclusione di responsabilità, dovrebbero a pena di inefficacia essere fatte sottoscrivere all’acquirente due volte, secondo il meccanismo di cui all’art. 1341 C.C. Anche in questo caso, limitazioni più stringenti esistono nel caso in cui la vendita sia fatta a consumatori finali.
Risoluzione del contratto
Di nuovo la Convenzione di Vienna è più favorevole all’esportatore rispetto allo UCC. Secondo la Convenzione il compratore può ottenere la “risoluzione” del contratto di vendita (rifiuto della merce ricevuta, restituzione integrale del prezzo pagato e risarcimento di eventuali danni) soltanto nel caso in cui la merce fornita presenti difetti tali da “privare sostanzialmente il compratore di quanto egli aveva diritto di attendersi in base al contratto”. Viceversa, secondo lo UCC, una qualsiasi difformità della merce rispetto ai patti contrattuali, darebbe al compratore il diritto di risolvere il contratto (anche se il difetto è di entità non rilevante). Va però detto che la Convenzione di Vienna prevede un rimedio in più per il compratore, non previsto dallo UCC, nel caso di merce difettosa. Trattasi della possibilità di ridurre unilateralmente il prezzo, proporzionalmente alla differenza tra il valore della merce difettosa effettivamente ricevuta e quello che la stessa avrebbe avuto se fosse stata conforme