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Economia/Imprese

La crisi rilancia il “nuovo” HR manager

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Una ricerca condotta su oltre 200 direttori del personale italiani mette in luce le peculiarità, le trasformazioni e il futuro professionale di un manager che ha saputo districarsi tra riduzione di costi e retention del personale

Più poliedrico di così è difficile immaginarlo. Deve facilitare i processi e fare da collante tra le funzioni, comprendere il business, avere capacità comunicative, competenze tecniche, capacità di innovazione, rappresentatività all’esterno, specializzazione, esperienza internazionale, ma anche leadership, proattività nel cambiamento, intuitività e capacità di visione. Al direttore risorse umane si è chiesto e si chiede sempre di più, ma se non altro il buon lavoro svolto nei mesi più duri della crisi ha gettato le basi sia per un riconoscimento immediato del ruolo in azienda che per conquiste di lungo periodo.

Così si potrebbero sintetizzare i principali risultati emersi dalla Survey condotta a marzo dalla società di executive search EXS Italia su oltre 200 HR manager italiani volta a capire difficoltà affrontate e trasformazioni del ruolo in atto. L’ampliamento del proprio raggio d’azione è, infatti, il principale risultato conseguito per il proprio ruolo in azienda a seguito del lavoro svolto in questi mesi di crisi per un intervistato su tre; a seguire, tra le principali conseguenze, la versatilità del ruolo (24%) e la maggior visibilità rispetto all’Amministratore Delegato/Direttore Generale (21%). Sempre grazie all’attività svolta nel periodo più critico appena trascorso – a giudizio degli intervistati – le principali conquiste di lungo periodo per l’HR manager saranno, invece, la partecipazione alla formulazione di piani strategici di medio e lungo periodo (38%) e la maggior incidenza sul modello di business (29%); interessante a tendere anche la gestione di piani di sviluppo per tutta la popolazione aziendale, non solo per i talenti (18%). “Gli ultimi diciotto mesi sono stati una minaccia e un’opportunità insieme per molte prime linee, ma per il direttore del personale in particolare – commenta Federica Artiaco, senior consultant di EXS Italia – già emancipato dal tecnicismo e da una funzione di puro servizio o di risoluzione di problemi il direttore del personale si è conquistato, con uno scatto decisivo negli ultimi tempi, “un posto a pieno diritto” nel board come manager strategico e di rappresentanza grazie alla capacità dimostrata di tutelare e trattenere il capitale umano, fondamentale per la competitività”.

La ricerca EXS ha cercato di capire come siano state affrontate e gestite le difficoltà, in primis la riduzione dei costi e del personale, ma anche il rovescio della medaglia, ovvero la motivazione e la retention del personale. Sul fronte della necessità di ridurre i costi la prima cosa fatta (o ritenuta prioritaria da fare) è stata la revisione dell’assetto dell’organico e del costo del lavoro (57%) seguita dalla cancellazione di ogni iniziativa che non avesse impatto immediato sul business (21%) e dalla riduzione del budget per la formazione e lo sviluppo organizzativo (8%). Quasi nessuno ha però sospeso o pensa di sospendere i premi e i bonus previsti dalla politica retributiva dei manager (2%). Da evidenziare l’adozione in alcuni casi dello strumento del job sharing e dalla trasformazione temporanea dei contratti da full time a part-time. Sul versante della riduzione del personale le politiche e gli strumenti per la tutela del capitale umano sono stati la linea guida nella maggior parte dei casi; il blocco delle assunzioni con obbligo di mobilità interna è lo strumento più utilizzato (e utilizzabile) da un direttore del personale su tre in accordo con il sindacato, seguito dalla cassa integrazione ordinaria e straordinaria (24%) e dagli incentivi all’esodo (15%). Poco utilizzati, invece, strumenti come i contratti di solidarietà (8%) e i servizi di outplacement (8%).

Indubbiamente è stato difficile motivare e trattenere le persone in un clima congiunturale negativo tanto che alla relativa domanda sulla retention nessuna opzione di risposta è risultata prioritaria, ma si è verificata una frammentazione che riflette situazioni molto diverse caso per caso. Tuttavia, in generale i direttori del personale ritengono con il proprio operato di avere comunque risposto a un bisogno e riscontrato il gradimento della popolazione aziendale (58% tra molto rilevante e rilevante) e di aver avuto pieno appoggio dal top management per lo sviluppo di nuovi progetti (57% tra molto rilevante e rilevante), oltre ad aver avuto accesso a tutti gli strumenti necessari, anche se alcuni ritengono di non essere riusciti ad avviare quanto ritenuto utile. Da segnalare che nella quota minoritaria di chi è riuscito abbastanza ad innovare oltre il 40% cita come nuovi servizi introdotti i pacchetti di welfare per la persona e la famiglia e la flessibilità di orario, insieme all’importanza del telelavoro.
La sfida per il futuro: low budget high innovation
“La centrifuga della crisi traccia, pertanto, un ritratto in evoluzione per l’HR manager in cui spiccano le doti di relazione e di rappresentatività, mentre il tecnicismo è sempre più delegato a partner esterni – continua Federica Artiaco di EXS Italia – Un funambolo/equilibrista di competenze e situazioni già da tempo cui forse un po’ ingiustamente occorreva la crisi per essere riconosciuto in azienda, ma che per la sua poliedricità è anche pronto a un ruolo allargato ad altre funzioni”.
Riuscire a innovare senza grandi budget e contrastando le resistenze al cambiamento è la principale sfida/criticità (32% prioritaria + 46% molto) del ruolo oggi, seguita dalla pressione sul controllo dei costi e sui risultati a breve (34% molto rilevante). Per affrontare tutto ciò è pertanto prioritaria la capacità di facilitare i processi e fare da collante tra le funzioni (61%) insieme alla conoscenza e alla comprensione del business e alle capacità comunicative, di ascolto e negoziali (43% per entrambe); molto rilevanti (58%) anche le competenze tecniche e manageriali insieme alla capacità di innovazione e la rappresentatività all’esterno/capacità di networking (42% per entrambe). Rilevanti, ma in terza battuta, l’esperienza internazionale e la specializzazione. Alla luce di questi risultati si comprende l’evoluzione di carriera che gli HR manager intravedono come più probabile per il proprio ruolo. Al primo posto (42%) c’è, infatti, l’estensione di responsabilità ad altri ambiti (es. organizzazione e IT), mentre il 20% si vede in una posizione internazionale; meno probabili, invece, la possibilità di rivestire lo stesso ruolo in realtà più complesse e diventare un consulente esterno.