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Economia/Imprese

La black list dei peggiori manager. Ecco come restarne fuori

Black list

Essere un leader non è mai stato semplice e in tempi come questi lo è ancora di meno. Stare al passo con le nuove tecnologie, gestire e motivare un team, restare con i piedi per terra nonostante il successo e soprattutto, in caso di errore, reagire prontamente, sono secondo Sydney Finkelstein, professore di Management alla Tuck School of Business e autore della lista nera dei peggiori CEO del 2011 le qualità che deve avere un buon amministratore delegato

Anche i manager più brillanti falliscono! È un dato di fatto. E più si sale in alto più gli errori diventano gravi e in certi casi “stupidi”. Quali sono allora i passi falsi da evitare? Quali le qualità fondamentali per essere un buon leader? Come è possibile motivare il proprio team e fare i conti con le complessità del mercato di oggi? Per cercare di dare una risposta a queste domande ci siamo confrontati con Sydney Finkelstein professore di Management alla Tuck School of Business di Dartmouth, già noto come autore del libro “Why Smart Executives Fail” (Perchè anche i dirigenti brillanti falliscono) che forte della sua esperienza ha stilato una black list dei peggiori CEO del 2011 spiegandone gli errori più comuni e le debolezze.

Partendo dall’esempio negativo di alcuni dei peggiori manager mette in luce in che modo, amministratori delegati anche molto dotati, sbaglino le strategie e portino le loro aziende, in alcuni casi leader di settore, a perdere importanti quote di mercato. Dall’arroganza all’incapacità di reagire prontamente agli errori, molti sono i motivi che portano un manager a fallire nel suo ruolo di leader.

In un contesto di grande complessità come è quello attuale, quali sono gli errori più comuni per un CEO?
Direi l’arroganza. Nella maggior parte dei il sopravvento e nuocere all’azienda. Ad esempio, cosa fare quando il prodotto target di un’azienda è minacciato da nuove e più attraenti innovazioni? Gli ex-CEO di una delle maggiori aziende operanti nel settore tecnologia per la telefonia hanno insistito e investito tutto su un solo e unico prodotto anche quando le orde di iPhone e Android di Google sottraevano quote di mercato. Non hanno voluto lanciarsi su nient’altro. Questa è arroganza.

Quali invece quelli più gravi?
I fallimenti aziendali hanno molte origini, ma le più critiche provengono dalla percezione della realtà aziendale, ovvero il modo in cui i dirigenti percepiscono la realtà della propria azienda e il modo in cui le persone all’interno dell’organizzazione fanno fronte a quella realtà. Spesso, a causa di ciò, i sistemi di informazione e controllo sono mal gestiti, e anche organizzazioni leader hanno adottato abitudini completamente fallimentari.

Ricollegandomi ad una sua precedente pubblicazione, “Perché anche i dirigenti brillanti falliscono”?
Durante la mia ricerca, ho immediatamente constatato che i dirigenti, indipendentemente da quanto intelligenti possano essere, commettono stupidissimi errori. Anche se i responsabili hanno quasi sempre delle carriere e delle esperienze formidabili alle spalle, quando fanno gravi errori, non sanno come aff rontare in modo rapido la situazione e correggerli. Spesso ingrandiscono il danno ignorando il problema. Le cause di un fallimento non sono quasi mai dovute ad eventi imprevedibili, di solito i dirigenti sanno cosa sta succedendo, ma scelgono di non reagire. Le cause di un fallimento non sono errori esecutivi; gli errori esecutivi sono semplici sintomi che nascondono una spiegazione più profonda del perché le cose vanno male. Le cause di un fallimento non sono nessuna delle semplici questioni che mettono in dubbio la motivazione, o la capacità di leadership, o l’onestà, o l’abbondanza di risorse. Si tratta di qualcosa di più complesso di una qualsiasi di queste spiegazioni, e molto più aff ascinante. Come ho descritto nel mio libro “Why Smart Executives Fail”, i dirigenti sono in primo luogo delle persone. E le persone a volte fanno cose che non dovrebbero fare. A volte, nascondiamo la testa sotto la sabbia per non ascoltare. A volte permettiamo ai nostri pregiudizi personali di infl uenzare le decisioni che prendiamo. A volte ignoriamo i feedback, non vogliamo cambiare, sottovalutiamo le reali diffi coltà, ci creiamo una propria realtà sulle nostre azioni, senza ascoltare i clienti. E tutte queste debolezze molto personali, proiettate in cima alle organizzazioni, portano al fallimento. Il margine di errore nelle alte sfere manageriali delle imprese complesse è molto piccolo, e il livello di competizione è molto elevato. Ed è per questo che anche i dirigenti apparentemente più brillanti e intelligenti, che non sono in grado di gestire e controllare le tante debolezze umane che possono affl iggere tutti noi, falliscono.

Secondo lei questi passi falsi da cosa dipendono? formazione, mentalità?
Non penso esista una sola risposta giusta per questa domanda. Nel mio libro “Why Smart Executives Fail”, spiego che gli errori sono fatti per i seguenti motivi: le mentalità, i meccanismi di protezione e gli atteggiamenti deliranti, breakdowns nei processi comunicativi, ecc; e riassumo il tutto in sette abitudini che portano all’insuccesso. La mentalità è un fattore importante – a causa della propria mentalità, i dirigenti spesso spingono la loro società in una direzione completamente sbagliata o non riescono a ristrutturarla come si dovrebbe, perché commettono un errore fondamentale nel modo in cui stanno valutando le opportunità e i problemi del proprio business. Inoltre, percepiamo che gli amministratori delegati sono sulla buona strada del fallimento quando iniziano a ignorare i problemi, e non osano porsi le domande più difficili.

In che modo è possibile evitarli?
Nella mia ricerca, ho individuato cinque segnali di pericolo da tenere sott’occhio. In primo luogo, le aziende con un successo uniforme e costante, che ad un tratto mostrano una serie di atteggiamenti deliranti, sono pronte per il possibile fallimento. In secondo luogo, le aziende che hanno avuto successo sul loro mercato e servono da pubblicità per coloro che vogliono immettersi nello stesso settore d’attività: in mancanza di potenti barriere all’ingresso, le nuove aziende andranno un pò più lontano che gli operatori storici. In terzo luogo, il successo genera l’arroganza, quindi le società devono sforzarsi di rimanere pensatori critici continuando a porsi domande difficili. In quarto luogo, è facile abbassare la guardia quando tutto va bene e il business è al suo massimo, ma i profitti non impediscono ad una società di navigare direttamente nell’occhio del ciclone. Infine, il successo ha un suo apice che è molto difficile da mantenere. L’amministratore delegato non può riposarsi sul momento di gloria, e deve costantemente rivalutare e ripensare i propri business plan.

Come è cambiata, secondo lei, la figura del dirigente in questo particolare periodo economico finanziario? I manager sono più sensibili all’errore durante una grossa crisi?
Ci sono sempre stati errori manageriali, e ce ne saranno sempre di più. L’importante è quello che i leader fanno una volta che l’errore è stato commesso, per cercare di risolverlo il più velocemente possibile. Per quanto riguarda la crisi, gli errori sono stati più grandi – più denaro in gioco, e l’importanza nell’economia – ed erano multipli – dagli istituti di credito che vendevano mutui ad acquirenti che non avrebbero mai potuto rimborsare i prestiti, alle autorità di regolamentazione inefficaci, alle agenzie di rating particolarmente incompetenti, e naturalmente da molte banche di tutto il mondo che o non hanno capito il rischio che stavano prendendo con i mutui subprime o hanno semplicemente scelto di farlo perché ci guadagnavano.

Internet e i New media hanno condizionato e condizionano tuttora molto la società. Come hanno influito questi nuovi mezzi sul ruolo del CEO?
In virtù del suo status elevato, ciò che prima era un metodo di comunicazione per gli studenti e le università, ora è un fenomeno che richiede attenzione. I Social media hanno un forte valore aggiunto, ma rappresentano anche un rischio se le informazioni diffuse non sono accurate o non riflettono la vocazione e la missione di un’azienda. Questo è particolarmente vero quando si tratta di clienti, che hanno molti più modi per esprimere il loro parere su come una società li ha trattati. Per gli amministratori delegati, che non appartengono alla generazione cresciuta nell’era di Facebook, questo rappresenta una grande sfi da, e so che molti di loro sono seriamente preoccupati per la gestione di questa sfi da in modo efficace.

I due gradini più alti del podio di questa lista nera sono occupati dai dirigenti di due aziende che si occupano di tecnologie, un settore che forse più di altri deve fare i conti con l’obsolescenza. Quanto secondo lei ha influito la velocità dell’innovazione tecnologica sui “fallimenti” dei manager in lista?
Le principali aziende IT a livello mondiale sono tra le aziende in più rapida crescita e più importanti del mondo, e questa accelerazione è avvenuta solo negli ultimi 5 anni. E’ naturale considerare questo settore per il peggio, ma anche per il meglio. Siccome l’industria IT è così dinamica, con l’evoluzione tecnologica legata fortemente a ciò che accade quotidianamente, questa richiede CEO più dinamici e flessibili. La posta in gioco è più elevata nell’IT proprio a causa di ciò. Inoltre, la tecnologia non è una piccola componente dell’economia, ma uno dei due o tre settori piloti più importanti della crescita economica (insieme con il settore dell’energia e della salute).

Ci sono quindi settori dove è “più facile” essere un dirigente?
No – la gestione è la gestione, indipendentemente dal settore. E questo è vero sia che si parli di profit o non-profit, governativo o aziendale, in Europa o in Asia. Non è facile essere un buon manager, perché la sfida di motivare e smuovere un gruppo di persone per lavorare al fine di ottenere un obiettivo comune è sempre difficile, e sempre importante.

Quali saranno secondo lei le qualità del manager del futuro?
I quadri superiori oggi sono spesso, anche se non sempre, più qualificati rispetto al passato. La ragione principale di ciò è la globalizzazione del mercato per quanto riguarda i talenti professionali. Abbiamo già visto amministratori delegati inglesi e americani in aziende giapponesi, indiani CEO di aziende americane, ecc. Con un pool di talenti più ampio, che continuerà ad espandersi con l’apertura sempre più importante della Cina, è logico che la qualità dei manager ai vertici saranno sempre migliori. Detto questo, credo veramente che la caratteristica individuale più importante dei grandi manager sia la capacità di adattarsi in tempo reale al cambiamento. Ci sono tanti motivi per cui i manager e le aziende da essi condotte considerano importante lo status quo, ma il meglio che un leader puo’ fare è capire che il cambiamento non è solo parte della realtà, ma è una necessità. Adattabilità a fronte di eventi imprevisti, questo è il segno distintivo dei più grandi manager.