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L’università in tempi di crisi

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Sviluppare il talento e spingere i ragazzi verso una conoscenza funzionale, non fine a se stessa. Sono questi i punti su cui dovrebbe concentrarsi l’università per aiutare gli studenti ad entrare nel mondo del lavoro. In anni in cui è difficile pensare al posto fisso, “un miraggio ormai solo italiano” gli atenei dovrebbero favorire materie interdisciplinari, non a compartimenti stagni, e una forte internazionalizzazione

Questa è l’opinione di Angelo Pasquarella, AD di Projectland, realtà milanese specializzata nella formazione e consulenza alle imprese.

Ma cosa significa essere competitivi come università?
Essere competitivi come università significa aumentare le probabilità che chi le frequenta abbia successo nella vita e si realizzi pienamente, significa aiutare i giovani a sviluppare al meglio i propri talenti in modo da essere utili a se stessi e agli altri. Questo significa anche opportunità di lavoro e successo economico.

Come?
Non tutti abbiamo gli stessi talenti, ma è utile a tutti che ognuno di noi dia il meglio di se stesso. Chi fa ciò lo fa perseguendo forse un proprio interesse, ma porta benefici anche a tutti gli altri e anche a quelli meno dotati. La scuola deve quindi sviluppare i talenti, ma anche dare indicazioni su come possano essere impiegati.
Occorre, fin da subito invogliare i giovani a riflettere su tutte le conoscenze che hanno appreso collegandole con idee utili per il pubblico, che si possono quindi trasformare in attività imprenditoriale. Non basta solo chiedere cosa sai, ma anche a cosa serve? Come può essere utilmente impiegata questa conoscenza? Come viene adoperata in ambito economico e quali possono essere gli ulteriori sviluppi che posso migliorare la vita delle persone e avere sbocchi economici. Occorre apprendere ma riflettere anche come possono essere utilizzate le nostre conoscenze. Non basta dire: ora pensa a studiare e se studierai, ti daranno un posto di lavoro.

E qual è appunto il legame tra università e mondo del lavoro?
Attenzione. Quando parliamo di attività lavorativa ci viene subito in mente il posto di lavoro, sicuramente fisso, vagheggiato dai nostri padri. Non è più così e non lo sarà in futuro semplicemente perché le imprese nasceranno e moriranno molto rapidamente, anche quelle che sembrano più grandi, e too big to fail. Se non falliscono, spesso vengono assorbite da altri e mutano profondamente con l’espulsione di molti lavoratori che debbono trovare altre alternative. Però il sistema è in grado di rinnovarsi per cui nascono continuamente nuove aziende e nuove opportunità (il male dell’Italia è proprio quello di non favorire questo processo). Chi dovrà costituire queste aziende e non i giovani che ora stanno studiando e a breve si laureranno? Compito dell’università è sfornare non solamente dei competenti esecutori, ma anche degli intraprendenti imprenditori. Lo studio deve quindi essere orientato a sviluppare caratteristiche di autonomia e iniziativa.

Cosa si può fare di meglio per creare un sistema competitivo e vincente in cui i giovani neolaureati possono trovare presto un’occupazione nelle loro aspettative?
Un primo consiglio che si deve dare al sistema universitario è quindi quello di istituire esami che tocchino trasversalmente più materie (approccio interdisciplinare) in modo che gli studenti si abituino a collegare tra loro realtà anche molto distanti e in generale di curare gli aspetti trasversali oltre quelli specialistici. 
L’azienda pretende dai propri collaboratori una visione d’insieme all’interno della quale collocare conoscenze anche tra di loro diverse. Ciò significa che il giovane, nell’affrontare il mondo del lavoro potrà trovarsi un compito specifico da svolgere ed essere collocato all’interno di un particolare settore specialistico, ma da lui ci si aspetterà che le conoscenze apprese siano ricondotte all’interno di un contesto unitario orientato a risolvere problemi pratici che debbono tener conto di numerosi aspetti. Per esempio, se inquadrato all’interno di un settore di ricerca e sviluppo, difficilmente potrà da subito applicare quello che ha imparato ai particolari e specifici problemi dell’impresa. Da una parte avrà la necessità di approfondire la sua conoscenza limitandone il campo di applicazione in ragione dello specifico settore di appartanenza dell’impresa, ma dall’altra paradossalmente dovrà ampliarla a settori che, con buona probabilità, non gli sono stati insegnati. Dovrà capire, ad esempio, come funziona l’impresa stessa, come relazionarsi ai colleghi e ai capi, dovrà comunque sapere come funziona un progetto in generale, quali sia la cultura della sua impresa, quali siano i fattori da tenere più sotto controllo nell’attività, dovrà considerare gli aspetti economici come trasversali rispetto a tutto ciò che farà, comprendere le strategie del suo settore e dell’impresa in generare e sforzarsi nel suo piccolo di rispondere alla complessità dell’organizzazione.
Tutto questo deve essere fatto tutto insieme e in tempi rapidi: se passa troppo tempo e il giovane fa troppi errori, anche se ben preparato rischia di perdere credibilità all’interno dell’impresa e gli vengono offerte minori opportunità di crescita.

Stiamo andando da una parte verso una grandissima specializzazione, ma dall’altra si pretende da noi un’estrema flessibilità nell’affrontare i problemi e un ampliamento delle nostre vedute. Dobbiamo essere degli zoom e contenere caratteristiche sia di teleobiettivo che di grandangolo. 
L’approccio universitario opera ancora troppo per sommatoria più che per sintesi. Le materie appaiono come dei microcosmi con leggi e regole che trovano giustificazione all’interno di quel determinato sistema. Il lavoro di mettere insieme le conoscenze, di fare in modo di dare un senso complessivo alle varie materie apprese per ottenere sofisticati risultati pratici, deve essere fatto da ogni singolo studente. Questa operazione è notevolmente complessa e non è facile riuscirci. In secondo luogo, in parte è una conseguenza di quanto dicevamo prima, occorre che la cultura del lavoro per progetti (in tutte le materie, anche in lettere e filosofia) sia sempre presente, non solo nelle università, ma anche nei licei, nelle medie e nelle elementari. IL futuro sarà caratterizzato da innovazione e l’innovazione nasce da un progetto. Il modo di lavorare basato su un compito da esebuire fedelmente non è più sufficiente. Accanto alla cultuar del lavoro per progetti vi debbono comunque essere nozioni di economia e di organizzazione d’impresa. Occorre esercitare le persone a costituire imprese, anche innovative e anche nelle materie umanistiche. Il rapporto con le imprese (anche qui per ogni materia, non solamente materie tecniche, giuridiche od economiche) ma anche per tutte le altre. Quando si parla di rapporto con le imprese si pensa agli stage e al fatto che gli studenti abbiano un contatto con il mondo del lavoro. Non basta! Occorre che questo contatto lo abbiano proprio le Università, che con umiltà i dipartimenti cerchino di dare significato economico alla cultura che producono e si confrontino con i manager e i centri di ricerca, per imparare oltre che per insegnare. Troppo spesso l’atteggiamo dei cattedratici è supponente e distaccato rispetto al mondo dell’impresa. Si dice “vediamo cosa vogliono da noi” invece che “vediamo cosa è possibile fare insieme”. Così si sprecano opportunità sia per le Università che per gli studenti. In qualche caso ciò avviene, ma siamo lontani dalle eccellenze che si sono verificate in altri paesi. Aggiungo che questo atteggiamento non può essere esclusivamente riservato alle facoltà scientifiche ma anche a quelle umanistiche. In Italia ci sono almeno altrettante opportunità per startup che vengono da una cultura umanistica rispetto a quelle ben note che promanano da facoltà scientifiche. Noi possiamo forse riuscire più di altri a rappresentare una sintesi tra le due componenti Internazionalizzare. Non si dovrebbe poter avere il massimo dei voti se non si sono fatte esperienze all’estero. Non è solo il problema di imparare le lingue, ma quello di capire diversi modi di affrontare e risolvere problemi, di pensare, di far funzionare le cose, di porsi rispetto allo studio e alla conoscenza. La velocità con cui succedono le cose è tale per cui è necessario ampliare ed allargare le nostre vedute non dando nulla per scontato e solo la comprensione di esperienze e realtà diverse aumenta le probabilità di trovare nuove strade.