PEPSI vs COKE. Come vincere ancora la battaglia delle Cola nell’era digitale?
Negli anni ’80 qualcuno la definì addirittura “la Guerra delle Cola“, riferendosi ad uno dei più noto conflitti diretti nel mondo del marketing e nella battaglia tra grandi brand: parliamo di CocaCola e di Pepsi. Se Coca Cola è il marchio più noto e riconosciuto al mondo, si capisce come non sia facile essere la Pepsi, suo grande rivale da sempre.
Pepsi inizia nel….con un logotipo che occhieggia molto alla Coca nell’uso del lettering pseudo calligrafico e di forme tonde ed armoniche, ma poi negli anni, crea , attraverso continui ritocchi e lifting grafici, un proprio marchio (che Coca non ha), inserendo oltre ai colori bianco e al rosso (che Coca ha) il blu all’interno di un bollo tondo, occhieggiando cromaticamente alla bandiera americana e giocando su una decisa tricromia, dove il blu diventa il colore predominante nel tempo. Il logotipo Pepsi diventa a sua volta sempre più essenziale, pulito e minimale, allontanandosi dalle abbondanze iniziali. Pepsi è negli anni 80 sempre più all’insegna del giovanilismo, diventando esplicitamente “the choice of the new generation” , ingaggiando testimonial del calibro di Michael Jackson e celebrandosi in celeberrimi spot comparativi contro il rivale di sempre. Avviene anche un fatico sorpasso nelle vendita, a causa della sfa della New Coke, che mette alla berlina CocaCola per una breve stagione, subendo il rifiuto ed il ricatto dei consumatori alla volontà di cambiare la ricetta della formula segreta delle note bollicine.
Oggi PEPSI, in quanto soft drink, ha una sua forte identità visiva e come gruppo PEPSICO, rappresenta la seconda azienda mondiale nel settore alimentare, dietro Nestlè, e avendo acquisito importanti brand come Gatorade o 7Up, oltre che aziende nel settore alimentare come le americane Quacker o FritoLay. Cosa ci si aspetta allora da Pepsi oggi? Forse che entri nell’era digitale a pieno titolo, che esprima in maniera forte quei valori di giovanilismo, condivisione, partecipazione che ne hanno fatto vent’anni fa un’idolo della generazione della pop music e del neo-pacifismo anti-interventista americano. I baby boomers sono cresciuto in USA ed Europa e i ventenni di allora oggi sono attempati e maturi cinquantenni, che devono continuare a trovare stimoli nel prodotto Pepsi, o riconoscerli attraverso i loro figli. Si è perso quello che gli americani chiamano il badge value, ovvero il potere simbolico del prodotto, il suo essere trendy e differenziante, per cui avere in mano una pepsi (e non una CocaCola) fa una differenza, racconta qualcosa di noi agli altri. Oggi i valori differenzianti stanno altrove. Allora forse non è più quella della big testimonialship la strada giusta, non sono quindi i 50 milioni di dollari dati a Beyoncè, star forse negli Stati Uniti, ma non certo altrettanto celebrata in Europa o nel mondo asiatico o indiano, dove si guarda per continuare ad avere i grandi volumi di vendite del passato. Quella che serve infatti è una strategia fluida e flessibile, fortemente Glocal, ovvero fatta di orchestrazione locale e puntuale di valori comunque condivisi ed espressi anche a scala globale e planetaria dalla marca: il futuro sta nel saper articolare ed interpretare le differenze specifiche dei nuovi mercati emergenti (India, Cina, Brasile…) rispetto alle posizioni mature di Europa o Stati Uniti, diverse non solo tra loro, ma anche certamente rispetto all’Asia, ai paesi arabi o all’America latina. La guerra delle Cola diventa forse allora più simile ad una potenziale guerrilla 2.0, ovvero una strategia fatta di azioni locali, dinamiche, rapide e reattive, liquide e digitali…ed in cui il consumatore non è più una semplice pedina, ma il protagonista assoluto e primario, attivo ed attento, capace di reagire quando non di addirittura anticipare la marca stessa. Tempi duri insomma, per le bollicine zuccherate, ma una grande sfida aperta e ancora non certo persa.