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Economia/Imprese

Concorrenza sleale e storno di dipendenti

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In un momento in cui la ripartenza è affidata innanzitutto all’impresa, penso che occorra fare una riflessione sulla concorrenza sleale, che gli imprenditori avvertono spesso intorno a sé, ma contro cui talvolta si sentono impotenti, anche perché non sono le dichiarazioni di principio o le battaglie fondate sul nulla che aiutano a chiarire i problemi e nel caso a salvaguardare i diritti.

Se infatti la libera concorrenza è un cardine riconosciuto in chi crede e opera nel mercato, è altrettanto vero che uno dei più insidiosi sistemi per carpire segreti ed assumere condotte di concorrenza sleale è, ad esempio, lo storno di dipendenti.

Faccio solo un esempio. In un recente caso, la Corte Suprema di Cassazione ha riconosciuto la concorrenza sleale nell’acquisizione, tramite storno di dipendenti, di notizie riservate riguardanti un’impresa concorrente. Infatti, a seguito del trasferimento di un dipendente, un’impresa di gelati, operante sul territorio dell’Unione Europea, aveva acquisito informazioni riservate su prodotti, fornitori e metodi di lavoro. Successive ricerche fatte in Germania avevano consentito di trovare prodotti del tutto simili a quelli dell’impresa italiana dalla quale proveniva il dipendente stornato. L’acquisizione, tramite storno di dipendenti, di notizie riservate di pertinenza di un’impresa concorrente, ha consentito di risparmiare sul costo dell’investimento in ricerca, ha alterato la correttezza della competizione ed è stata punita.

Poiché la sentenza della Cassazione riconosce la concorrenza sleale nell’acquisizione di notizie tramite storno di dipendenti, occorre inquadrare meglio tale fenomeno.

Gli imprenditori e i manager talvolta si trovano nella condizione di avvertire che alla correttezza dei propri comportamenti non corrisponde altrettanta correttezza da parte di un’impresa concorrente. Vorrebbero opporsi a questa situazione che li danneggia, ma sono frenati dalla sfiducia generalizzata di ottenere in tempi celeri giustizia.

In verità, è possibile ottenere giustizia a condizione che si individui in termini esatti la disciplina della concorrenza sleale. Essa riguarda la concorrenza fra imprenditori non necessariamente operanti allo stesso livello economico o esercenti la stessa attività, essendo sufficiente che le rispettive attività si rivolgano alla medesima categoria di consumatori. Inoltre, può non riguardare solo gli imprenditori.

Non possiamo dimenticarci infatti che la concorrenza sleale può aversi anche fra produttore e distributore, fra grossista e dettagliante. Capita, ad esempio, che il dettagliante assuma condotte di concorrenza sleale nei confronti del produttore, facendo in modo che i clienti comprino prodotti di un concorrente, senza motivate ragioni. Si è verificato spesso che un distributore plurimandatario abbia danneggiato ingiustamente, a parità di qualità e prezzo, un produttore. Quando esistono le prove, è facile opporsi ed ottenere giustizia. Esiste comunque concorrenza e concorrenza.

La concorrenza più insidiosa e che spesso procura maggiori danni è quella riferibile ad un terzo, cioè a colui che compie atti di concorrenza sleale nell’interesse di un imprenditore a scapito dell’altro. E’ molto spesso una persona inserita stabilmente od occasionalmente nell’organizzazione dell’impresa concorrente, che opera dall’interno di questa a vantaggio di un’altra impresa, facendo pervenire notizie riservate, progetti o carpendo segreti produttivi, su cui molto si è investito. Anche in questo caso è possibile ottenere giustizia.

Ma quali sono le condizioni perché si possa configurare un reato di concorrenza sleale? Un atto di concorrenza sleale può essere configurato solo ove vi sia una clientela comune.

Occorre chiarire il concetto di comunanza di clientela, di cui parla la giurisprudenza. Per poter parlare di comunanza di clientela è sufficiente che più imprenditori esercitino la stessa attività industriale o commerciale in un ambito territoriale comune.

L’ormai diffusa tendenza delle imprese ad estendere l’ambito delle loro attività, da un’attività più limitata ad una più estesa, modifica il concetto di mercato, per cui le valutazioni sugli effetti della concorrenza sleale devono tenere presente quello che agli imprenditori è noto, e che viene definito mercato di sbocco, ossia quello che l’azienda raggiungerà in base alle successive attività complementari o affini.

Perché si verifichi la concorrenza sleale, basta un solo atto, non ne sono necessari molti. Anzi, possiamo dire di più. L’atto di concorrenza sleale viene represso in funzione della sua volontà di raggiungere determinati effetti e di creare un danno. L’atto di concorrenza sleale deve, in quanto tale, togliere ad un concorrente uno spazio di mercato. Se non si verifica questo, si è fuori dall’accezione di concorrenza e dunque, a maggior ragione, di concorrenza sleale.

Ma torniamo, ancora per un attimo, allo storno dei dipendenti. Nell’ambito della concorrenza sleale, tale fenomeno a cui fa riferimento la sentenza di cui abbiamo parlato in apertura, è un rischio molto diffuso in relazione al quale spesso gli imprenditori si sentono impotenti oppure, non individuando con esattezza il quadro di riferimento, rischiano di adire l’autorità giudiziaria e di non ottenere l’aspettata giustizia, ricavandone un profondo senso di frustrazione. Occorre sottolineare che lo storno di dipendenti, vale a dire l’assunzione di dipendenti di un concorrente, non è in sé illecito, poiché corrisponde al diritto di ogni lavoratore a migliorare la propria prestazione professionale.

L’illiceità dello storno di dipendenti non può quindi in alcun caso soltanto derivare dalla constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente, in quanto tali attività sono di per sé legittime. L’illiceità invece deve essere desunta dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso il passaggio di dipendenti, di vanificare gli sforzi di investimento del suo antagonista.

Mi spiego meglio: è la volontà di diminuire l’efficienza dell’impresa del concorrente l’elemento che porta a ravvisare la contrarietà ai principi di correttezza professionale, con un atto direttamente ed immediatamente rivolto ad impedire al concorrente di continuare a competere.

Si tratta, come si sarà capito, di un tema molto complesso ed in evoluzione, ed occorrerà definire ogni singolo aspetto così che quanto previsto dal codice e quanto dettato dalla giurisprudenza sia di aiuto alle imprese, sempre più aperte al mercato nazionale ed internazionale.

“A cura di Claudio Gandini”