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Economia/Imprese

Paradosso dello sviluppo delle competenze

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Paradosso del “Tutto il risultato è di ciascun componente del team”
Risultati complessi presuppongono spesso l’integrazione di competenze diverse e i risultati di eccellenza che perseguiamo non possono essere raggiunti se non in un team, nel quale ciascun componente manifesta caratteristiche di eccellenza.
Questa circostanza, la necessità di un team che interagisce e che integra conoscenze che provengono da discipline magari molto differenti tra di loro, porta qualche volta alla nascita del paradosso “dell’irrilevanza dell’entità del contributo prestato, rispetto alla titolarità di quanto prodotto.”
Cosa significa? Si tratta di un interessante effetto psicologico: ogni componente del team ritiene di aver fornito tutti gli elementi essenziali del progetto e di conseguenza è convinto, nel suo intimo, di essere di fatto l’autore dell’intero risultato conseguito, mentre, ai suoi occhi, il ruolo di coloro che hanno compartecipato appare del tutto marginale. La mia vita lavorativa si è svolta nella gestione e realizzazione di progetti e ho avuto modo di rilevare moltissime volte questo fenomeno, soprattutto in progetti di particolare complessità e penso che molti lettori abbiano avuto più volte la mia stessa impressione.
Ho cercato di dare una spiegazione al fenomeno e di capire da cosa possa essere generato.
Quando si partecipa ad un progetto innovativo, laddove venga richiesto uno sforzo creativo elevato da parte di più soggetti in diverse discipline e laddove sia necessario imbrigliare la creatività e le attività originali di ciascuno all’interno di un unico risultato progettuale, per avere successo occorre:
a) che ogni componente comprenda profondamente e si identifichi con il progetto nel suo complesso
b) che dia il massimo di se stesso, per quel che riguarda il suo dominio di competenze
c) che le competenze originalmente prodotte si trasferiscano all’interno del progetto conferendogli elementi di originalità.
Poiché ciascuno di noi conosce molto bene gli sforzi concettuali e le soluzioni creative che ha messo in essere per conseguire il suo risultato (mentre dei colleghi conosce solo i risultati ma non gli sforzi concettuali che li hanno resi possibili) è portato a sopravvalutare il suo apporto e a sottovalutare quello degli altri.
Ne consegue che ogni membro del team si sente padre dell’intero progetto in quanto percepisce che, senza l’integrazione del suo risultato, il progetto non avrebbe avuto successo. Ed è proprio così. Peraltro, più il risultato diviene sofisticato, più il successo può dipendere dall’apporto di una persona che ha fornito un’idea o  un’attività che può apparire marginale o comunque secondaria. Il team funziona come un organismo, è un sistema: il risultato è per intero di ciascun membro, ma unicamente in quanto membro di un team. Se infatti manca una sola componente, anche considerata meno importante, non è detto che la conseguenza sia un risultato mano brillante, ma può essere il fallimento dell’intero progetto, esattamente come il catalizzatore all’interno di una reazione chimica. Per questo ciascun componente tende ad appropriarsi dell’intero risultato, perché percepisce l’essenzialità del suo ruolo.
Ovvero: se sviluppi le competenze del tuo collaboratore rischi di perderlo, se non le sviluppi, il collaboratore non ti serve a niente.
Abbiamo avuto modo di osservare più volte come il valore aggiunto all’interno dei prodotti sia materiali che immateriali dipenda soprattutto dalla quantità di “intelligenza” in essi contenuta, circostanza che impedisce al prodotto stesso di trasformarsi in una “commodity” che ne erode la profittabilità e porta l’azienda a sopravvivere esclusivamente in condizioni del più basso costo del lavoro possibile. Si è peraltro spesso sostenuto che, nell’odierna società globalizzata ed ipercompetitiva, è aumentata la velocità con cui cambiano i gusti del consumatore (soggetto a continue sollecitazioni) e con cui le aziende sono costrette ad innovare.
Da queste premesse, da moltissimi condivise, consegue la necessità, attraverso o così detti knowledge worker, di mantenere molto alto sia il monitoraggio del mercato che il livello di innovazione.
Ne consegue che sempre di più le imprese, per avere successo nel lungo periodo, si orientano a migliorare costantemente e ad inserire competenza e sensibilità estetica (arte e tecnologia) nei prodotti, nei processi produttivi, nell’approccio al mercato e nelle modalità di comunicazione e diversificazione rispetto alla concorrenza.
E’ quel fenomeno che molti studiosi di management hanno definito in termini di trasformazione dell’impresa in una learning organization (Arie de Geus): un’azienda che è in grado di adattarsi, innovandosi,  a situazioni sempre diverse e in cambiamento.
In questo contesto la preparazione dei collaboratori diviene il fattore critico di successo dell’azienda che deve quindi stimolare ogni occasione di crescita e di apprendimento delle proprie risorse offrendo loro grandissime occasioni di imparare e di crescere professionalmente.
Se il lavoro dell’azienda consiste in gran parte nel produrre innovazione, idee e soluzioni originali, chi gestisce l’impresa ha la necessità di sviluppare continuamente competenze per sostenere l’innovazione e la soluzione di problemi.
Indirettamente si ottiene però un altro risultato: migliorando sempre più i propri collaboratori se ne aumenta anche  il valore sul mercato del lavoro.
Da qui il paradosso: se sviluppi il potenziale dei tuoi collaboratori rischi che se ne vadano, se non ne sviluppi continuamente il potenziale, non ti servono a nulla.
La soluzione?
Ipercompetizione e globalizzazione non ci danno alternative. Non potremo mai stancarci di procedere sulla strada dello sviluppo delle competenze ad ogni grado e ad ogni livello, accentuando  le capacità di produrre  continuamente due cose: risorse idonee a sostituire e rigenerare quelle esistenti e nuovi metodi e tecniche per rendere più complessa la riproducibilità del nostro modello di business.
Se peraltro la perdita di importanti knowledge worker può comportare un grave danno all’impresa vuol dire che le sue competenze sono facilmente riproducibili e che quindi deve paradossalmente impegnarsi maggiormente nello sviluppo e nella crescita professionale dei suoi collaboratori.
La scelta peggiore per l’azienda sarebbe quella di ripiegarsi su se stessa cercando di difendere i propri vantaggi competitivi che, in tempi sempre più rapidi, diventeranno meno significativi e finiranno presto con lo scomparire del tutto.

Testo di Angelo Pasquarella