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Quali strumenti per innovare

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Mettere in condivisione le esperienze, avere la consapevolezza della propria unicità, dare un valore concreto al network, sapere inventare, conoscere e soprattutto saper rischiare. Di fronte all’innovazione, al lungo e complesso processo di cambiamento verso un futuro completamente nuovo, imprenditori e manager sono chiamati a mettere in discussione vecchi schemi per trovarne e scoprirne di nuovi.

Schemi in cui tornano spesso parole come “rete”, “invenzione”, “conoscenze”, “formazione” e “intangibile”. “E’ finita l’epoca del “fai da te” – commenta Sebastiano Barisoni, Caporedattore News Radio 24 de Il Sole 24 Ore, nell’ambito del workshop “Integrare per Innovare” organizzato nei giorni scorsi a Milano, da Warrant Group e Knowita -. La piccola e media impresa degli anni ‘70 e ‘80 è cresciuta con un difetto: non pianificava e andava avanti senza la consapevolezza del perchè le cose succedevano in un determinato modo. Ora è finita questa epoca e non possiamo più permetterci azioni o mosse libere, ci deve essere una consapevolezza e una conoscenza di fondo”.

Come costruire questa innovazione quindi? La riflessione ha visto snocciolarsi punti di vista differenti di docenti, imprenditori, autorità istituzionali e manager, tra cui Stefano Zambon, professore Ordinario di Economia Aziendale dell’Università di Ferrara, Enzo Rullani, Professore di Economia della Conoscenza TeDIS (Venice International University) e Andrea Pontremoli, amministratore delegato di Dallara Automobili ed ex AD di IBM.

Secondo Zambon per innovare bisogna prima di tutto “capire, inventare, conoscere, educare, organizzare, gestire, informare, valutare, investire e rischiare”. Ergo partire con il capire gli insegnamenti e gli strascichi lasciati da questa crisi per arrivare a “inventare non solo tecnologie o idee brillanti ma lasciando che una strategia emergente possa apparire ed essere conosciuta”. L’innovazione, a detta di Zambon, presuppone conoscenze e una formazione di fondo perchè ogni novità va “organizzata, pensata, pianifi cata, coordinata e ordinata”, sia esternamente che internamente ad ogni azienda. L’innovazione andrebbe quindi gestita (passando attraverso la collaborazione quale nuova sfida), protetta e soprattutto fatta conoscere e, in ultimo, bisogna investirci tenendo conto della componente “rischio”.

Una lezione che Andrea Pontremoli ha conosciuto e messo in pratica in IBM prima e in Dallara oggi. La parola d’ordine per il Direttore dell’azienda più importante al mondo per costruzione di macchine da corsa, resta l’unicità. “Le aziende chiuse non saranno mai innovative. Un imprenditore deve essere in grado di dire “Solo io” e non “Anch’io”. Un’azienda deve essere unica e deve avere una posizione precisa nel mercato. In Dallara investiamo circa il 30% in innovazione e da sempre abbiamo scelto di seguire solo alcune cose su cui continuamo a investire, il resto ci arriva da fuori. Una scelta che premia. Se sono unico mi vengono a cercare i grandi e questo significa che ho un mio preciso know how che altri non possono copiarmi. Per crescere bisogna essere un metro avanti agli altri”. Come? Partendo dalla formazione. “Siamo cresciuti a compartimenti stagni quindi per innovare bisogna mettersi in condivisione e riuscire a capire l’altro”.

Non esiste innovazione senza rischio e di questo ne è consapevole il professor Enzo Rullani. “Il futuro è di chi fa investimenti a rischio – afferma – Gli imprenditori devono essere consapevoli che continuando a seguire un treno che non è il loro, rischiano di perdere le loro diversità e unicità”. La vera scommessa del futuro resta una: investire su un’idea e trovare igiusti compagni di viaggio, innovare e mettersi in rete e per farlo bisogna dare valore a tutto quanto è immateriale. “La maggior parte delle nostre imprese ha investito in assets tangibili, poco o niente nell’immateriale. Finora lo sviluppo senza investimenti immateriali è stato un vantaggio perché ha ridotto le barriere all’ingresso per le neoimprese e ha abbattuto i costi nella competizione – prosegue Rullani – ma nel capitalismo globale della conoscenza di oggi questo è diventato un limite. Il valore aggiunto oggi è dato dalla qualità delle idee, dei significati, delle esperienze e dei servizi, ergo dall’intangibile, il cui valore di mercato dipende totalmente dal futuro e dalle idee che abbiamo al riguardo”. Le idee differenziano l’impresa, fornendole la possibilità di conseguire in futuro un profitto differenziale rispetto alla norma. Affinchè queste idee possano essere propagate secondo Rullani, sono due le leve da sfruttare: la globalizzazione e la smaterializzazione. La prima permette di aumentare i moltiplicatori delle buone idee, la seconda è indispensabile per separare le idee dalle persone, dalle aziende e da contesti unici e difficilmente riproducibili. “L’esistenza di grandi moltiplicatori connessi ai mercati globali è dunque un formidabile incentivo a smaterializzare le buone idee estraendola dal suo contesto materiale di origine e propagandola in forma di codici, moduli, signifi cati, modelli estetici, esperienze, identità, servizi e attenzione forniti al cliente (modelli riproducibili). Il significato (modello ecc.), separato dal prodotto, può essere riprodotto e trasferito a costo basso e in tempo breve da un capo all’altro del pianeta”. E se innovare significa condividere ecco che il sistema “rete” diventa fondamentale per “ridurre i costi, gli investimenti richiesti, aumentare il valore ottenuto da ciascuno con l’uso della propria conoscenza – conclude il professor Rullani – perchè la rete mette a disposizione le economie di scala del sistema”.

Sull’importanza del network è tornato Mirano Sancin, direttore generale e consigliere delegato del Parco Scientifi co Tecnologico Kilometro Rosso che, sottolineando il valore dell’integrazione e della condivisione di esperienze per recuperare competività e redditività, ha raccontato l’esperienza di uno dei più concreti esempi di innovazione messa in rete. Il Kilometro Rosso infatti è nato con la missione principale di valorizzare l’effetto sistema del processo innovativo nelle sue componenti economiche, tecnologiche, sociologiche e istituzionali e realizzare un forte legame tra scienza di base, ricerca industriale, sviluppo tecnologico e innovazione. Nel giro di pochi anni è riuscito ad attivare un circolo virtuoso attraverso la collaborazione e le sinergie tra realtà differenti.