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Style

Per essere creativi ci vuole “allenamento”

Riccardo Blumer

La creatività è una scintilla divina ma per concretizzarla ci vuole “allenamento” e molta conoscenza. Riccardo Blumer, architetto svizzero di origini italiane e autore, tra le tante, della sedia “LaLeggera”, ci racconta la sua visione del mondo dell’architettura e del design

Tutto quello che ci circonda è il risultato di una reazione chimica”. Riccardo Blumer, architetto svizzero ma italiano di nascita riassume così la sua visione del mondo. In natura tutto, da un tramonto ad una sedia fino ad arrivare alle emozioni, dipende dai fenomeni che lo provocano e lo rendono quello che è.

Questo è il punto di partenza per capire l’opera dell’artista e il suo modo di intendere l’architettura e il design, di oggi come di ieri. Un’ottica “scientifica” che vede nella natura la massima fonte di ispirazione e nella comprensione delle leggi che regolano l’universo la base per fare arte. L’architetto e designer sostiene che per essere creativi bisogna “andare in palestra” ovvero studiare, studiare e ancora studiare, essere curiosi di tutto e non stancarsi mai di accrescere il proprio sapere. Da qui l’apertura ad ambienti diversi da quelli dove normalmente orbitano l’architettura e il design, la volontà di “sporcare” un settore con un altro per scoprire e imparare da ogni situazione, non ultima la recente mostra allestita dal 17 dicembre al 20 gennaio negli studi dell’agenzia di comunicazione bergamasca Multiconsult, un’occasione per entrare in contatto con un mondo del tutto distante dal suo e proprio per questo di grande interesse.

Riccardo Blumer, architetto poliedrico con una visione incantata del mondo della creatività. Che cosa rappresenta l’architettura nella nostra società?
L’architettura oggi ha perso quel rapporto con la natura che invece secondo me dovrebbe essere la sua massima fonte di ispirazione. Negli ultimi anni si è assistito ad un’ubriacatura di funzionalismo mentre bisognerebbe ritrovare quel legame che nel mondo hanno forma, dimensione, materia e efficienza. Spesso si dice che un tramonto è bello ma non si pensa che di fatto è il risultato di una serie di processi che danno origine a quel particolare colore. La luce del sole calante in relazione agli elementi chimici presenti nell’atmosfera crea quell’immagine splendida che vediamo sul far della sera, immagine che oltre che essere bella è anche efficiente. Ecco l’architettura dovrebbe rifarsi a questo concetto. La forma deve essere legata all’efficienza come è in natura. E con efficienza non intendo quella ecologica che negli ultimi anni corrisponde spesso a quella economica.  In passato l’architettura era vista come una forma di protezione verso la natura, che con la sua forza poteva distruggerci. Oggi spesso si pensa il contrario, è la natura ad essere in pericolo. E allora perché, nonostante questo cambiamento per cui non è più necessario unirsi per difendersi, la gente sceglie di concentrarsi in queste enormi città? in queste megalopoli? la città va rivista, ci vuole un progetto più territoriale.

Cosa significa fare design oggi?
Il design, come l’architettura deve recuperare il suo rapporto con la natura. Bisogna prendere coscienza che tutto quello che ci circonda è il risultato di processi. Nulla è lasciato al caso, sono le leggi dell’universo a determinare tutto quello che nel mondo esiste e si evolve. Dobbiamo avere il coraggio di andare a vedere questi fenomeni che, lo accettiamo o no, ci portano ad essere qui e ora. Nel design il rapporto tra forma e efficienza poi è ancora più evidente e maggiore è anche la possibilità di sperimentare. Il tema fondamentale è quello della conoscenza. Per creare oggetti di design, così come elementi architettonici, bisogna conoscere e capire i processi che regolano l’universo e progettare di conseguenza. Prendiamo l’esempio di una sedia. Questo oggetto è un’insieme di molecole, tenute insieme da una forza enorme. La sedia diventa allora energia nello spazio. Bisognerebbe riuscire a raccontare il rapporto tra l’oggetto e l’energia e per questo ci vogliono approfondimenti nella scienza e nella filosofia.

Nel suo libro “Esperienze di Architettura e design” scrive: “Con orgoglio, ambizione e tenacia, cerco sempre di tenere aperta la domanda: dov’è la sfida? La creatività è la nostra scintilla divina”. Ci può raccontare il suo modo di vivere e far vivere la creatività?
Per me la creatività è un potere divino. È la capacità di trasformare la materia in processi, capacità che non arriva però da sola. La scintilla divina può far pensare all’idea romantica che ai veri creativi l’idea venga così. In realtà ci vuole tantissimo studio e formazione. Per essere creativi bisogna allenarsi, non è una dote innata, bisogna accrescere la propria conoscenza del mondo e delle leggi che lo governano.

Come nasce un progetto, un’opera di Blumer?
Studi un progetto e quando inizi a realizzarlo ti rendi conto dei limiti. Quindi lo rivedi fino ad arrivare alla forma finale. Tutte le fasi che attraversi fanno parte del processo costruttivo che è un insieme di relazioni fisiche.  La forma finale dipende da questo processo. Nel design è più semplice perché le dimensioni sono più ridotte.

Dove si gioca il futuro dell’architettura in Italia secondo lei?
L’architettura, come la società in generale, si gioca ormai a livello globale. Certo in Italia, rispetto ad altri Paesi è più difficile sperimentare perché si è ancora troppo legati ad una concezione della città ormai sorpassata. Ci sono poi maggiori difficoltà a livello burocratico ma la sfida è sempre aperta. Dobbiamo diventare sempre più bravi.

Nel suo lavoro si è trovato a parlare di fronte a platee anche di imprenditori e operatori di marketing. In cosa il design può offrire strumenti utili e insegnamenti a questi settori?
Mi piace “sporcare” mondi diversi, avere un pubblico più eterogeneo, in questo modo si può imparare molto. In quest’ottica va inserita la mostra in Multiconsult. Ci conoscevamo già e quando mi hanno chiesto se ero interessato ho accettato volentieri. Il mondo della comunicazione è molto interessante. Sa creare momenti di relazione dove l’osservazione è protagonista. È molto raro perché spesso il fine commerciale annebbia il mezzo.

Nel corso di questi anni qual è stata la più grande soddisfazione professionale che ha raccolto?
Per me è l’insegnamento, la meraviglia dello scoprire. Certo vedere un edificio che sorge da uno scavo da grandi soddisfazioni ma attraverso l’insegnamento ho avuto l’occasione di fare conoscenza. Inoltre in ambiente accademico si può sperimentare e quindi anche per me aumenta il sapere. Più capisco più faccio atti creativi più mi sento completo 
e felice.

In un momento non facile per l’economia italiana e internazionale la ricerca del nuovo, per lei fondamentale, rappresenta un’opportunità importante. Come dobbiamo porci come società da questo punto di vista?
Come ho già detto è necessario fare “palestra” ovvero prepararsi e aumentare il proprio sapere perché solo così, con il sapere fine a sé stesso, si può migliorare.