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L’era della mediazione è finita

Intermediazione

Fin dall’origine dei tempi l’uomo ha posto tra sé e la soddisfazione dei suoi bisogni – fisici e spirituali – uno o più livelli di mediazione.  C’è sempre stato qualcuno o qualcosa tra lui e l’oggetto finale delle sue attenzioni.

Una figura di mediazione che di volta in volta assumeva aspetti e volti differenti: un giudice, un maestro, un politico, un avvocato, un poliziotto, un prete, un commerciante, un bibliotecario, un artista, ecc. E’ stato così per tutta la storia dell’umanità e per molti versi anche oggi è ancora così. Ma negli ultimi decenni lo scenario sta bruscamente mutando e lo sta facendo in modo esponenziale, come esponenziali sono i tempi in cui viviamo. Gli intermediari stanno ad uno ad uno cadendo. Viviamo l’epoca della cosiddetta disintermediazione, in cui l’uomo intende essere sempre più protagonista delle sue scelte e tende a ridurre, riconsiderare, eliminare i rapporti con le figure di mediazione. Figure e istituzioni che, a vario titolo, hanno gestito modi, tempi e contenuti nei contesti più ampi e diversificati: dalla fede al commercio, dall’istruzione all’arte. Grazie a un nuovo sistema di conoscenza condivisa, alla possibilità di raggiungere facilmente e ovunque contenuti e informazioni grazie a processi digitali, alla maturazione di una più spiccata sensibilità e consapevolezza, possiamo dire che oggi gli individui tendono a essere “professionisti” in ambiti assai più ampi che in passato.

Ma non solo, oggi gli individui amano divenire “co-creatori” ossia essere direttamente coinvolti nei contenuti che sono oggetto dei loro bisogni e delle loro attenzioni per creare soluzioni “tailor made”. E, appunto, i mediatori tendono a cadere. La disintermediazione tocca prima gli aspetti intimi e spirituali, poi quelli sociali e infine quelli più puramente fisici. Ad esempio basti pensare al rapporto tra uomo e Dio, in passato fortemente intermediato dagli istituti religiosi, oggi oggetto di una profonda riflessione che sposta l’uomo a un dialogo e a un’interpretazione assai più personale e diretta della fede. Lo stesso sta accadendo nei confronti del sapere e dei saperi. Oggi le persone tendono a informarsi in modo sempre più autonomo e articolato. Lo fanno con profondità e assetti variabili – orizzontali, verticali, trasversali – utilizzando nuove fonti oltre a sfruttare la condivisione e i media sociali. Le istituzioni dell’informazione e del sapere non hanno più la stessa forza e lo stesso ruolo di prima. Possiamo osservare questa tendenza anche nel cosiddetto “governo della polis”, nella politica.

Gli individui soffrono sempre di più l’intermediazione di strutture e organizzazioni che si pongono tra loro e il loro bisogno di stato. In modi diversi e tempi diversi, in vari paesi del mondo, assistiamo a un calo di affluenza al voto e al crollo dei modelli tradizionali di organizzazione politica. Anche nel rapporto tra l’uomo e i prodotti sta accadendo la stessa cosa. Grazie appunto alle tecnologie digitali, a internet, allo sviluppo delle soluzioni e-commerce, gli individui possono raggiungere e dialogare in modo assai più diretto con i brand. Le dinamiche di distribuzione stanno cambiando e divengono spesso sempre più disintermediate. Alcuni settori come ad esempio il turismo, la musica, la moda, i prodotti tecnologici, vivono già un esperienza matura in questo senso. E’ un trend in costante crescita in un mondo in cui in generale le economie mature sono sofferenti. Certo, in alcuni ambiti, soprattutto quelli più tecnici, scientifici, innovativi, quelli in cui è richiesta una conoscenza estremamente profonda, la figura del mediatore è ancora fondamentale poiché assolve al bisogno degli individui rispetto ai bisogni specifici attraverso un meccanismo che passa dalla informazione alla considerazione fino alla scelta e alla fiducia. Ma non sappiamo se sarà così per sempre…

Testo di Mauro Milesi, Giornalista ed esperto di Marketing

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