Il paradosso del bagnino
Alcune volte ti rimangono impresse frasi e circostanze che in qualche modo determinano le tue future curiosità e, almeno ti sembra, sono in grado di condizionare la tua visione delle cose. Delle illuminazioni, insomma.
A me un fatto del genere, a cui ho avuto modo di pensare molto spesso nel corso della mia vita, è capitato quando, molto giovane, facevo l’aiuto bagnino in uno stabilimento balneare della riviera ligure.
Oggi ciascuno di noi sa che il governo dell’organizzazione di un processo lavorativo non è più basato sul rigido incasellamento, all’interno di compiti rigidamente prefissati e ripetibili in modo automatico, ma che ogni persona, per raggiungere buoni risultati, deve essere coinvolta, partecipare all’attività non solamente con le sue competenze professionali, ma anche con quelle che vengono dette competenze personali. Questo è particolarmente vero nel mondo dei servizi e tutte le volte che si abbia a che fare con le persone e che si debbano tenere relazioni. Occorre cioè che il collaboratore, come si suol dire, ci “metta del suo”.
Essere capi di persone che devono “metterci del loro” non è facile. Il nostro atteggiamento passa da chi deve far eseguire in modo preciso qualche cosa a chi deve indirizzare in qualche modo lasciando però che le persone esprimano tutto il loro potenziale e si comportino in modo naturale, reagendo efficacemente agli stimoli della situazione che stanno vivendo. In questo modo l’azienda riesce a valorizzare le persone al massimo delle loro potenzialità.
Ma veniamo al bagnino e ai suoi insegnamenti. Le passioni del bagnino al cui servizio ero adibito erano, come spesso capitava a quei tempi, due: le moto e le ragazze.
Su entrambe le questioni Roberto, così si chiamava, aveva una sua filosofia ed effettuava un originale parallelismo, sostenendo che il vero controllo si ottiene solamente quando, in determinate circostanze, il controllo non lo si esercita. Diceva: “Vedi Angelo, con le ragazze (allora non ci si poneva molti scrupoli in termini di uguaglianza tra i sessi) occorre fare come con le moto. Quando sei in una curva difficile da affrontare, se la affronti in modo deciso, pretendendo che la moto segua rigidamente la traiettoria della curva, rischi di uscire di strada. Devi lasciarla andar via sul dietro, come se il controllo lo prendesse lei. Solo in questo modo riesci invece a controllarla davvero.”
Avevo qualche dubbio in merito all’efficacia della tecnica con la sua ragazza che conoscevo, ma restai sul terreno della guida e chiesi: “Ma come fai ad accorgerti veramente quando la moto ti sta prendendo la mano del tutto e il controllo lo prende davvero lei mandandoti fuori strada?”
“Questo non te lo posso spiegare, rispose Roberto, è una cosa che devi fare e solo se la fai la capisci. Il bello è che la capisci solamente tu: è una tua abilità che forse puoi imparare, ma anche tu che studi non potrai comunicarla ad altri.”
Il mio amico bagnino mi aveva spiegato il concetto di conoscenza tacita, teorizzato da Polany nel libro “La conoscenza inespressa” pubblicato in Italia nel 1979, che avrei letto solo successivamente, e mi aveva anche insegnato che il management è in effetti più un’arte che una scienza.
Testo di Angelo Pasquarella