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La cosiddetta rabbia araba

Donald Trump ha deciso di esporre la politica statunitense alla “rabbia” araba. Ha sbagliato? Che Trump non sia un genio politico – e probabilmente neppure imprenditoriale – siamo in molti a pensarlo. Un furbo, forse, anzi di certo: la furbizia però – dico sempre – è la parente povera dell’intelligenza, ed è assai diffusa tra i (nati) ricchi. Trump deve essere molto furbo.  Non posso però dare un giudizio conclusivo su di lui come politico: aspetterei la fine del suo primo mandato per pronunciarmi.
Queste le premesse, il mio punto di vista attuale sul signor Trump. 
Detto ciò, fa rabbia vedere ogni volta un gruppo di arabi esagitati di fronte alle mosse statunitensi quando si tratta della questione palestinese, o di Gerusalemme: infatti, si sono forse dimenticati di “Settembre nero” e delle numerosissime volte che i palestinesi sono stati presi a pesci in faccia, per non dire sterminati, da altri arabi? Si sono cioè dimenticati – o forse non sanno? – che i giordani massacrarono decine di migliaia di palestinesi nel 1970? Decine di migliaia! E questo perché minacciavano la monarchia di Amman. Guai a dirlo però: il nemico permanente non può essere un altro popolo arabo. No, il nemico è uno solo, Israele. Ma queste folle esagitate non si rendono conto di risultare ridicole? Israele è uno Stato nato con molti “se” e “però”, lo sappiamo tutti. Ma vogliamo fare la conta degli Stati che non sarebbero mai dovuti nascere? Magari troviamo anche parecchi Stati arabi (e pure europei, a partire dall’Italia). No, il punto vero è un altro: questa massa di ignoranti esagitati, che si fanno manipolare come dei fantocci dai soliti burattinai i quali spesso non sono neppure musulmani, trovano facile attaccare gli israeliani, che formano l’unico popolo liberaldemocratico della zona, perché non potrebbero prendersela con tutti i tiranni, gli assassini, i millantatori, i bugiardi, i re e reucci (sultani e sultanucci) della zona che non hanno alcun interesse a dire come stanno veramente le cose, né a cambiarle. Le cose stanno che se Israele non fosse circondato da enormi masse straniere nemiche, frustrate per questioni che con lo Stato ebraico non c’entrano niente – ma con i loro corrotti governanti arabi sì -, masse alla ricerca perenne di valvole di sfogo per il loro ingiusto malessere generale, ebbene, Israele stesso risulterebbe uno Stato migliore. Infatti, come può esserlo uno che si trova in una situazione di guerra permanente? A molti osservatori europei sembra sfuggere il fatto che non si può giudicare lo Stato ebraico con il metro di misura di chi sta in pace, perché Israele in pace non è. Non lo è da quando è nato. Israele è uno Stato con i suoi limiti, ovviamente: ma non merita di scomparire. Qualcuno pensa forse il contrario? Ha dimostrato di saper crescere e svilupparsi anche dal punto di vista dei diritti umani e delle libertà personali, cosa che non si può dire dei Paesi attorno. Si può affermare lo stesso, ad esempio, del signor Assad e del suo meraviglioso Stato siriano? Se Israele non merita di esistere il regime di Assad sì? Putin, che fa tanto il vecchio saggio, non pensa che tra Assad e Nethaniau abbia più titoli per dire la sua il secondo? Per non parlare del signor Erdogan, una macchietta della politica internazionale, se non fosse che guida uno Stato abbastanza importante (vediamo ancora per quanto: per quanto il cosiddetto Sultano lo governerà e per quanto la Turchia rimarrà importante con lui al potere). E invece cosa è successo? Che pure in Siria la gente, che onestamente avrebbe altro di cui occuparsi, e in molti casi da rimproverarsi, si permette di alzare il ditino contro Israele. Una situazione ridicola che dà la misura di questa incredibile farsa che da decenni si consuma nel Vicino Oriente. 
Conclusione: la gente araba – e più in generale musulmana – merita di vedere crescere il proprio benessere a 360 gradi, vorrei che questo fosse chiaro, anzi chiarissimo: solo, sbaglia doppiamente a pensare di poterci riuscire colpendo il bersaglio sbagliato. Perché così se la prende con chi non ha colpe e, in tal modo, permette a chi ce le ha di continuare a fare i propri comodi. Le vittime insomma sono due: i popoli arabi poveri e gli israeliani. Non lo sono coloro che hanno interesse a tenere nel malessere generale, e nell’ignoranza, le masse del Vicino Oriente, e a usare Israele come loro valvola di sfogo. 
Forse è venuto il momento da parte di tutti, compresa l’Europa, di spiegare ai popoli dei Paesi arabi che le ragioni del loro malessere stanno dentro,  e non fuori, i confini dei propri Stati. E poi, che fine hanno fatto le “primavere arabe”? Questo chiederei adesso ai ragazzi che sono scesi in piazza contro gli israeliani. Lo chiederei ai ragazzi, ma anche ai governanti occidentali, i quali accettando alla fine di sostenere dittatorelli dell’ultima ora al posto di regimi democratici nel Vicino Oriente e nell’Africa settentrionale hanno fatto il gioco di chi sfrutta l’odio nei confronti di Israele per un proprio tornaconto personale: l’odio cioè nei confronti di uno Stato che, onestamente, dai tiranni è sempre stato ben lontano.
Testo di Fabrizio Amadori