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Editoriali

Editoriale di Mauro Milesi – B&G numero 17 – Marzo – Maggio 2011

Complessità, conoscenza e diversità

La globalizzazione e gli sviluppi della crisi hanno obbligato sempre di più le imprese a vivere in un contesto di maggiore complessità. Vincere la sfida competitiva all’interno di questa complessità diventa ovviamente più difficile, ma anche più stimolante. Il mondo che ci circonda sarà sempre più vario, variabile e indeterminato e lo strumento fondamentale per operare e crescere in questa prospettiva è quello della conoscenza.

Oggi la conoscenza è un valore aggiunto determinate, soprattutto se è legata alle persone. Infatti, l’intelligenza tecnica e ripetitiva delle macchine e dei software standard non sono più in grado di soddisfare molti dei nuovi bisogni e di interpretare correttamente gli scenari. Al contrario le persone hanno una conoscenza che potremmo definire fluida: è flessibile, analitica e creativa.

Questo capitale lo riscopriamo in moltissime delle nostre Pmi, che hanno l’imprenditore e le persone al centro del loro processo di sviluppo. Nell’economia della complessità, la capacità di essere competitivi è legata all’apporto di diversità e unicità rispetto al resto del mercato. Il nostro costo del lavoro, la burocrazia, le limitate infrastrutture ci rendono incapaci di competere sul puro piano produttivo a livello globale. Dobbiamo, quindi, essere in grado di distinguerci offrendo valore aggiunto attraverso un’economia della conoscenza. La capacità di generare nuove idee e servizi innovativi deve integrarsi con alcuni fattori tipici del Made in Italy, ma essere in grado di andare oltre.

Da un lato la nostra conoscenza è la nostra diversità sono spesso legati al territorio, al contesto in cui operiamo, dall’altro dobbiamo essere in grado di rendere questa “localizzazione” un elemento esportabile, dematerializzabile, moltiplicabile anche fuori dai nostri confini. Questa è una sfida determinante in particolare per il nostro manifatturiero che deve necessariamente essere in grado di gestire la nuova complessità, confrontandosi e superando i competitor di altri Paesi emergenti. Spesso le nostre Pmi non sono ancora pronte a questo passaggio, ma possono e devono contare su un’arma determinante: la rete.

E’ possibile fare squadra, attraverso partnership che possano colmare i nostri gap e presentarci al mercato con un sistema più completo. Oggi la “politica dell’orticello” ha davvero perso ogni significato perché ancora una volta la complessità ci mette alla prova su un piano non solo più alto, ma anche più ampio. Quindi dovremo sempre più prepararci a fare gli adeguati investimenti per operare in questa economia della conoscenza.

Le aziende dovranno investire di più sul capitale intellettuale (per generare idee, creatività, innovazione) e sul capitale relazionale (per costruire reti e partnership che ci rendano più strutturati e amplifichino le nostre potenzialità). Infine, bisogna preparare le persone a lavorare a rischio in questa complessità. Dovranno nascere nuove generazioni di imprenditori e di lavoratori, veri professionisti della conoscenza, capaci di creare e comunicare la propria diff erenza specifica a nuovi clienti e nuovi mercati. Sapendo, ovviamente, mettersi in gioco.